Recensione a cura di Ilaria Guidantoni Martedì 21 febbraio 2012
La musica è l’arte più spirituale e nello stesso tempo più popolare perché colpisce il cuore con un linguaggio universale. Commuove lo spirito oltre qualsiasi barriera. Una definizione che potrebbe andar bene anche per il “classico”. Questo è la serenata romana, un ever green dell’essenza della Capitale, un unicum internazionale. Uno spettacolo-concerto l’ha celebrata in una gustosa serata, delicata, divertente e a tratti velata di malinconia che è, come diceva Victor Hugo, la dolcezza di essere tristi.
STORIA DELLA SERENATA ROMANA
uno spettacolo-concerto di Stefano Reali con Serena D’Ercole, voce solista
Stefano Reali, piano e voce narrante
Marco Guidolotti, clarinetto e sax
Stefano Nunzi, contrabbasso
Marco Rovinelli, batteria
Massimiliano Lazzaretti, fisarmonica
Interprete d’eccezione Serena D’Ercole
Fuori programma Rodolfo Laganà
Nell’anno del centenario della Sala Umberto, “Storia della Serenata Romana” propone un viaggio nel tempo alla ricerca delle radici più profonde della tradizione musicale romana, che ebbe il grande Ettore Petrolini tra i suoi massimi interpreti, fin dal suo debutto nella storica sala di via della Mercede. “Storia della Serenata Romana” è uno Spettacolo-Concerto specchio della vocazione di questo teatro di intrattenimento d’autore, unendo momenti di divertimento ad un approfondimento sulla Storia della musica del nostro Paese, a partire dall’originalità della canzone romana, che nasce a dire il vero nella Ciociaria. L’inizio – ha raccontato con grande spontaneità e una partecipazione sentita, in un modo conviviale, Stefano Reali, voce narrante e accompagnamento al pianoforte, a Roma, nel ‘500. Fu allora che il ‘Saltarello’ ciociaro si trasformò gradualmente, senza mai rinnegare le proprie radici popolari e il doppio senso a sfondo erotico, in una serie di forme musicali autonome. Il ‘Saltarello’ nasce nell’ambiente rurale, quale forma prevalentemente strumentale, in occasione dell’attesa dei contadini che durante l’ottobrata romana si recavano in città a vendere le derrate alimentari, provviste per l’inverno. Aspettando gli acquirenti, i contadini si radunavano a Villa Borghese e per ingannare il tempo suonavano e cantavano. Furono nel tempo apprezzati dal Papa che li ospitò dando in qualche modo dignità alla loro musica. Con il passare dei secoli questa forma di musica spontanea si configurò in modo originale, con forme uniche come le cosiddette ‘corone’, e tutte le licenze del cantante, quale il ‘ritardato’, le sospensioni che ‘costringevano’ l’orchestra a seguire l’interprete. Centrale era infatti il testo: la canzone romana è un modo per raccontare storie, informare e celebrare, quindi condividere.
La recensione integrale su Saltinaria.it
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