Ilaria Guidantoni Domenica 4 marzo 2012
Dal 28 febbraio all’11 marzo. Uno spettacolo raffinato, essenziale e intenso concepito come una tragedia greca. Il protagonista si staglia sul coro senza prevaricarlo, senza protagonismo. Un testo possente, barocco senza ridondanza, che l’esile figura di Lo Cascio sublima. Si respira la modernità della classicità, dove la sicilianità archetipica si sposa con le sonorità tipiche della terra.
Teatro Stabile di Catania presenta
Luigi Lo Cascio e Vincenzo Pirrotta in
DICERIA DELL’UNTORE
dal romanzo di Gesualdo Bufalino
pubblicato da Bompiani
con Vitalba Andrea, Giovanni Argante, Lucia Cammalleri, Andrea Gambadoro, Nancy Lombardo, Luca Mauceri, Plinio Milazzo, Marcello Montalto, Salvatore Ragusa, Alessandro Romano
scene e costumi Giuseppina Maurizi
musiche e paesaggi sonori Luca Mauceri
movimenti coreografici Alessandra Luberti
luci Franco Buzzanca
musicisti Mario Gatto, Salvatore Lupo, Michele Marsella, Giovanni Parrinello
adattamento teatrale e regia Vincenzo Pirrotta
Le luci sono ancora accese e una scenografia in grigio, toni su toni, una scalinata che si apre come una corte dei miracoli, accoglie persone stanche che si muovono come fantasmi, bisbigliano e fanno piccoli gesti: chi si passa rassegnato le mani tra i capelli, chi snocciola il rosario come Padre Vittorio, chi urla con un filo di voce ‘vattene via’ a non si sa chi. La suggestione è immediata, i costumi, come casacche pijama ma anche divise carcerarie, di tela, di lino, trasudano qualcosa di lacero e troppo uniforme che spenge gli individui in un collettivo indistinto.
In effetti il sanatorio dà l’idea del confinamento – non volontario – come una doppia punizione: quella della malattia e la ghettizzazione che gli uomini ‘sani’ operano sui pazienti come appestati. C’è insieme qualcosa di rancoroso eppure un graduale sentire la morte dell’altro come propria, una solidarietà quasi subita, cercata per sopravvivere alla disperazione. Da sottolineare, nell’originalità della regia, l’uso della voce quale cifra dell’umanità pur ostaggio di una vita al limite della morte. Così inizia lo spettacolo, con il canto lirico di una donna; per poi continuare con un recitar cantando, che talora diventa nenia; altre volte si piega all’intonazione del canto popolare; altre ancora diventa urlo, soffocato e acuto, esile e penetrante.
La recensione integrale su Saltinaria.it
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