mercoledì 30 dicembre 2015

MILLENNIUM BUG

Dopo il debutto al Teatro Libero di Palermo il 30 gennaio, Millennium Bug apre la rassegna OFF del Teatro Stabile del Veneto al Ridotto del Teatro Verdi di Padova sabato 6 febbraio 2016 alle 18:30 con replica martedì 9 febbraio alle 21:00.
La settimana dal 23 al 28 febbraio lo spettacolo è in scena a Roma al Teatro Lo Spazio.

MILLENNIUM BUG
di Sergio Gallozzi
liberamente ispirato a Il Maratoneta di Luca Coscioni

con Galliano Mariani
regia Christian Angeli

luci e scenotecnica Giacomo Cursi
musiche Marco Lucchi, Stefano Luca
riprese e fotografia video Andrea Littera
aiuto regia Alessia Filiberti

con la partecipazione amichevole in voce di Carmen Lasorella e Andrea Trovato

produzione Indigena / Teatro Libero Palermo

Millennium Bug è l'ultima produzione di Indigena Teatro, un monologo teatrale inedito di Sergio Gallozzi  liberamente ispirato al libro-diario “Il Maratoneta” di Luca Coscioni (ed. Stampa Alternativa, 2003).

Cosa fa un uomo che ha appreso di avere una malattia che lo porterà, senza appello, alla morte nel giro di qualche anno? Sa che il suo corpo diventerà progressivamente di pietra: non potrà muoversi, poi non potrà parlare, anche solo respirare sarà doloroso.
C'è stato un uomo, il quale, appresa la terribile notizia di essere malato di SLA, ha deciso di ricominciare a correre: l'ultima maratona di Luca Coscioni è stata una straordinaria ed appassionata avventura politica, una battaglia di libertà a beneficio di una ricerca scientifica libera contro le forme neo-oscurantiste che, proprio in quei primi anni del tanto atteso nuovo millennio, si stavano riorganizzando.
Millennium Bug ci riporta alla mente quel passato prossimo italiano degli anni zero. Un passato oscuro, zeppo di scommesse perse e di personaggi politici disattenti e inconcludenti. Un passato troppo vicino per essere giudicato con il dovuto distacco e troppo distante per avvertirne ancora la forza propulsiva.

La regia di Christian Angeli non chiede all'interprete Galliano Mariani di impersonare Luca Coscioni, ma di dare corpo al suo pensiero e forma alle sue lotte in posizione dialogica con gli interventi della popolare giornalista Carmen Lasorella.

A dieci anni dalla scomparsa di Coscioni, lo spettacolo scandaglia le possibilità interiori di ogni individuo che sono preludio necessario all'azione politica ed incita il pubblico a riattivare l'attenzione sui temi cosiddetti “etici”, tanto fondamentali nella vita delle persone quanto costantemente rinviati dall'agenda pubblica.


"Alfons Mucha e le atmosfere Art Nouveau" a Milano

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 26 Dicembre 2015

Milano, Palazzo Reale, dal 10 dicembre al 20 marzo 2016

Immagini note di un autore essenziale per il mondo del Liberty e dell’Art Nouveau eppure poco noto almeno in Italia. Una mostra da gustare per appagare l’occhio. Un’epoca dedicata al gusto del bello della ricercatezza, ispirata dalla natura madre e matrigna, incantata dalla donna angelicata e sedotta dalla femme fatale, nella duplice rispondenza della natura madre e matrigna. Mentre il gusto della decorazione, talora leziosa e virtuosistica e della pubblicità si fa strada, emerge anche la ricerca dell’elemento conturbante e del subconscio che nell’ambivalenza della rappresentazione femminile trova il suo centro.

La mostra "Alfons Mucha e le atmosfere Art Nouveau" presso il Palazzo Reale di Milano consente di tuffarsi nel mondo prezioso ed elegante del Liberty, lo stile che a cavallo tra Otto e Novecento caratterizzò il mondo dell'arte, dell'architettura, dell'artigianato e dell'arredo dell'intero contesto europeo – con oltre 220 fra ceramiche, mobili, ferri battuti, vetri, sculture e disegni ripercorrono il periodo a cavallo fra '800 e '900 - raggiungendo vette di ineguagliata raffinatezza con un percorso originale capace di ricostruire il gusto elegante, prezioso e sensuale dell’epoca.
La mostra di Milano si concentra sulla figura dell'artista ceco Alfons Mucha (1860-1939), uno dei maggiori interpreti dall'Art Nouveau. Formatosi nella nativa Moravia, dove inizia la carriera in qualità di decoratore, nel 1887 Mucha si trasferisce a Parigi, dove si dedica principalmente alla produzione di pannelli decorativi, cartelloni pubblicitari, manifesti teatrali, copertine per riviste, calendari, illustrazioni librarie.
Qui compaiono immagini femminili di estrema eleganza, definite da una linea nitida che delimita i contorni. Si afferma così un inconfondibile "stile Mucha", che ottiene fortuna anche negli Stati Uniti, dove il pittore soggiorna tra 1906 e 1910. Rientrato in Europa, si stabilisce a Praga, dove resterà fino alla morte, avvenuta nel 1928, dedicandosi al grandioso progetto dell'Epopea slava, una serie di tele dedicata alla storia del popolo slavo. La mostra di Palazzo Reale racconta la carriera di questo grande artista attraverso le 149 opere prestate per l'occasione dalla Richard Fuxa Foundation. Arricchisce l'esposizione un'ampia selezione di ceramiche, mobili, ferri battuti, vetri, sculture e disegni di artisti e manifatture europei, che testimoniano quello stile floreale che caratterizzò le varie declinazioni nazionali - francese, belga e italiana soprattutto - prese dal Modernismo internazionale. “Alfons Mucha e le atmosfere art nouveau”, è curata da Karel SRP, già curatore della grande mostra monografica sull’artista tenutasi a Praga nel 2013, per la parte relativa alle opere di Mucha, e da Stefania Cretella, studiosa di arti decorative, per la parte dedicata alle arti decorative del periodo art nouveau. In particolare sono da segnalare le ceramiche di Galileo Chini che fondò nel 1896 a Firenze la Manifattura ceramica.

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Una splendida vacanza - Teatro de' Servi (Roma)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 26 Dicembre 2015

Dal 15 dicembre al 3 gennaio. Il titolo è la soluzione, il lieto fine, grazie ad un ribaltamento della situazione: i due personaggi “usati” e in qualche modo bersaglio di ironia e inganno si riscattano e si liberano, partendo per il giro del mondo. Commedia dalla comicità immediata e semplice, sul modello della ripetizione di gesti e parole che portano al nonsense. La Compagnia dei Borghi di Parma arriva sul palco del Teatro de’ Servi di Roma per il periodo delle feste natalizie con una commedia scritta e diretta dalla sua direttrice artistica Ester Cantoni, anche interprete nella parte di Marta, una ragazza strampalata, un po’ sopra le righe, disoccupata che vive a casa dell’amica Adriana, abituata a sudarsi la vita e con amori inconcludenti.


Compagnia dei borghi presenta
UNA SPLENDIDA VACANZA
con Marco Cavallaro (Filippo), Giuseppe Renzo (Riccardo), Patrizia Grossi (Adriana), Ester Cantoni (Marta) e Daniele Coscarella (Nicola)
musiche originali e disegno luci Bruno Ilariuzzi
scene e costumi Clara Surro
scritto e diretto da Ester Cantoni

“Una splendida vacanza” è una commedia degli equivoci, ma non nel senso tradizionale della definizione; ambientata ai giorni nostri la narrazione vede Riccardo (Giuseppe Renzo), manager fallito, escogitare l’ennesimo stratagemma per convincere la sorella Adriana (Patrizia Grossi), architetto diligente votato al lavoro, un po’ legnosa, sempre disponibile per tutti, che si dichiara single per scelta, a prestargli i soldi necessari per iniziare un’attività d’allevatore di cani e per trasferire l’allevamento dal giardino di sua sorella in un posto più adeguato.

Per uno strano caso del destino, complice dell’intrigo diviene Filippo, pizzaiolo disoccupato, che per guadagnare dei soldi si presterà ad impersonare un improbabile segretario di un conte spagnolo interessato ad acquistare alcuni cani dell’allevamento di Riccardo. A vestire i panni di questo spassoso personaggio Marco Cavallaro, bravo interprete che già ha calcato numerose volte con successo questo palcoscenico, ad esempio nella scorsa stagione con le commedie "Clandestini" e "That’s amore".

La messa in scena elaborata da Riccardo verrà però disturbata dalla presenza di Marta (Ester Cantoni), amica eccentrica e un po’ invadente della sorella, maniaca dell' associare alle situazioni titoli di film e registi, che cerca di favorire in ogni modo la nascita di un amore per Adriana, e del suo fidanzato Nicola (Daniele Coscarella), musicista di una band, di cui è terribilmente gelosa.

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mercoledì 23 dicembre 2015

Cercando segnali d’amore nell’universo - Teatro Eliseo (Roma)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Martedì, 22 Dicembre 2015

Dal 22 dicembre al 3 gennaio. Un grande istrione, una forte versatilità che ha la docilità dell’apparire spontanea, come di chi ha masticato tanto palcoscenico. Sul palco è re, un tantino ammiccante, con qualche tentazione amarcord verso la fine, molta poesia all’inizio e la capacità di essere un artista a tutto tondo. Il finale chiude con il senso del teatro per Luca Barbareschi: la capacità di leggere la musica sul pentagramma, di mettere insieme poesia e matematica è il dono più bello che racconta di aver ricevuto da Dio. Sulla scena traduce la musica in storia e raccontando invenzioni svela la realtà, sentendosi più grande e al sicuro. La sua storia è un intreccio di mondi e culture, un padre ingombrante che ha fatto rima con una madre assente, una profonda solitudine e una disperata ricerca di segni d’amore, girovagando. New York e il jazz restano il leit motiv della colonna sonora.

Produzione Casanova Teatro presenta
CERCANDO SEGNALI D’AMORE NELL’UNIVERSO
con Luca Barbareschi
e con Marco Zurzolo Band
vocalist Angelica Barbareschi
regia di Chiara Noschese

E’ un viaggio di ritorno quello di Luca Barbareschi: ritorno al passato, memoria delle proprie origini, il bisogno di fermarsi, fare il punto e ripartire con un lancio che nella serata è il debutto di sua figlia Angelica come cantante. All’Eliseo ci torna come padrone di casa sempre con Chiara Noschese, questa volta regista dietro le quinte. Ritmato, ironico, incalzante, acrobatico, a tratti graffiante anche con se stesso: una confessione che non è mai un’esibizione. E’ di impatto ma gioca bene l’equilibrio tra il sé e gli altri, senza venire addosso al pubblico, senza esibirsi: piuttosto si confessa e vuota il sacco, tutto fino in fondo, senza farsi sconti. Il risultato è autentico e il pubblico lo sente.

E’ la parabola tra note e parole, con inserti di danza, varietà, voci e canzoni, di un saltimbanco, artista che si è formato a tutto tondo tra gli ostacoli di un inizio che come per molti non è stato facile. La prima parte dello spettacolo respira l’aria dell’infanzia, la musica del sud America, la presenza ingombrante di un padre, peraltro molto assente, della mamma che lo abbandona, di una profonda solitudine e della ricerca perenne di segni d’amore. Un mendicante d’amore, in un gineceo di zie e tate, di fascinazioni femminili, di pasticci, grovigli e tanta voglia di vivere, a volta con qualche deriva. Senza sosta, due ore sul palco senza un rallentamento, un cedimento, una performance da attore a tutto tondo, dominatore del palcoscenico con il tocco sottile.

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lunedì 21 dicembre 2015

Matteo Pericoli, quando il disegno narra

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 19 Dicembre 2015

Abbiamo incontrato questo disegnatore, un narratore attraverso le immagini, alla libreria L’Argonauta Libri per viaggiare di Roma qualche tempo fa in occasione della presentazione del suo libro Finestre sul mondo. 50 scrittori, 50 vedute (edito da EDT per la collana Piccola biblioteca di Ulisse) e il giorno seguente all’inaugurazione della mostra dei disegni presenti nel libro così abbiamo deciso di addentrarci in questo mondo di linee e segni, di un grande osservatore. A quasi tutti probabilmente è capitato di fermarsi a riflettere guardando fuori dalla finestra della propria stanza o del proprio ambiente di lavoro. Che cosa cercano i nostri occhi in quel paesaggio così consueto e in qualche modo rassicurante? Il nostro pensiero, la nostra esistenza, quanto ne sono influenzati? Matteo Pericoli ha coinvolto cinquanta scrittori da tutto il mondo in una sorta di riflessione collettiva su questo tema, accostando a ciascuna risposta il disegno della finestra, e della relativa vista, ai quali il testo fa riferimento, dalle grandi cupole della Istanbul di Orhan Pamuk alla cangiante New Delhi di Rana Dasgupta, dal semplice patio sudafricano di Nadine Gordimer al giardino milanese di Tim Parks. Il risultato è una polifonia di voci e visioni che rivelano all'autore, e con lui al lettore, delle inattese corrispondenze: «Ho la netta sensazione che una finestra sia qualcosa di più che un punto di contatto o di separazione dal mondo esterno. È anche, e forse soprattutto, una specie di specchio che riflette i nostri sguardi verso l'interno, verso di noi e sulla nostra stessa vita.»

Come nasce la sua passione per il disegno e quando ha avuto origine? C'è stata un'immagine che ha segnato una svolta?
«Il disegno in realtà è nato con me, o io con lui; nel senso che in famiglia, per via del mestiere di mio padre, ma anche perché mia nonna (da parte materna) era un’artista nascosta — e che a insaputa
quasi di tutti dipingeva, faceva intricati e bellissimi arazzi, suonava — il disegno era un linguaggio molto presente, quasi complementare. Non ci sono state quindi vere e proprie svolte, o scoperte. Forse potrei dire di averlo riscoperto un paio di volte: quando avevo 16-18 anni — a quel punto erano parecchi anni che avevo smesso di disegnare e tutt’a un tratto scoprii che mi veniva bene, che mi piaceva. E poi una volta arrivato a New York, a 26 anni — lì mi accorsi che potevo usare il disegno per comprendere (e, forse, raccontare) il meraviglioso mondo in cui ero andato a capitare.»

Quando ha cominciato a dedicarsi in modo serio e poi esclusivo al disegno?

«Appunto, come dicevo sopra, a New York. Mentre ero ancora in Italia, e studiavo architettura, pensavo che il disegno mi sarebbe poi servito semplicemente per poter svolgere il mestiere di architetto. E così è stato: quando ho lavorato nello studio di Richard Meier, a New York, ogni progetto, prima di essere trasferito sui programmi di cad, veniva disegnato a mano, dalle scale al 1.000 fino ai dettagli 1:1. E la mano, come si suol dire, m’è tornata molto utile in quegli anni. Anzi, forse è proprio lì che l’ho addestrata a curarsi delle linee come fossero delle sottilissime e filamentose parole, ognuna importante come le altre e nessuna che predominasse urlando sopra alle altre.»

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Kamikaze Number Five - Teatro dell'Orologio (Roma)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 19 Dicembre 2015

Originale, straniante, spiazzante, provocatorio, allucinatorio, per certi aspetti surreale, nitido, carnale e a tratti nebuloso. E’ tutto questo ma sfugge a ogni definizione. E’ la confessione delirante e strabiliante ad un tempo di un kamikaze, in una inedita congiunzione del sacro con il profano. Esplosivo, per l’appunto, da risultare a tratti grottesco se non fosse drammatico. Un’interpretazione di alto profilo e una prestazione singolare. Woody Neri porta in scena "Kamikaze Number Five" di Giuseppe Massa, con la regia di Giuseppe Isgrò, al Teatro dell'Orologio fino a domenica 20 dicembre.

KAMIKAZE NUMBER FIVE
di Giuseppe Massa
con Woody Neri
regia Giuseppe Isgrò
dramaturg Francesca Marianna Consonni
suono Giovanni Isgrò
sarta Camilla Magnani
produzione Phoebe Zeitgeist e Vanaclu'
in coproduzione con Progetto Goldstein
in collaborazione con Teatro dell'Orologio, Associazione Teatrale Pistoiese, La Corte Ospitale Rubiera, Spazio OFF Trento

La piccola sala, dal soffitto basso, dipinta di nero, senza separazione tra palcoscenico e pubblico, un piano sotto terra del Teatro dell’Orologio di Roma, è l’abitacolo perfetto per rendere la pièce più che credibile. Sufficientemente angusto da rendere inquietante una performance che non sembra recitata soprattutto di questi tempi. Cosa passa nella testa di un suicida omicida stragista che può colpire perfino la sua casa? Ce lo saremo chiesto tante volte in questi ultimi tempi, dove la parola kamikaze è una delle più usate ed abusate.

Siamo in un clima di sospensione: è il dies irae, il giorno del giudizio, dalla parte del protagonista, un monologo allucinato con Dio, l’angelo, con il proprio padre, la propria madre e perfino una figlia. E’ una dichiarazione d’odio, di chi non ha più un cuore perché aveva fame e se l’è mangiato. E’ la guerra dichiarata ai maiali, in particolare al presidente dei maiali, che sono tutti i non credenti, specie forse quelli che di maiali si cibano. E’ una lotta senza quartiere, senza ragioni, contro tutto quello che non è esattamente l’interpretazione Coranica, secondo questa mostruosa deformità che il mondo chiama Isis e che meglio sarebbe definire Da’ich o comunque lo si voglia chiamare: terrorismo di matrice sedicente islamista.

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lunedì 14 dicembre 2015

Processo, morte e santificazione di un Pulcinella che non voleva portare la maschera - Dal 18 al 20 gennaio a Roma

Cosa accadrebbe se Pulcinella si stancasse di portare la maschera? Ovviamente sarebbe processato. Il contraddittorio inizia e nell'aula di un folle tribunale si alternano personaggi iconici della commedia dell'arte, stereotipi del teatro contemporaneo e molti altri.

Otto giovani attori interpreti di caricature grottesche e ridicole, giochi di parole, doppi sensi, il linguaggio del corpo e la farsa, si parte dalla commedia e si sconfina nel melodramma.
Pulcinella è tutti e nessuno: sciocco, saltimbanco, servo e padrone, innamorato, malinconico, schiavo di se stesso e della sua umanità.

Si gioca con il ritmo, la poesia, i volti e le maschere. L'obiettivo è far ridere, commuovere, riflettere e alla fine, forse, niente è davvero come sembra.

Note di regia - Donatella Barbagallo
Lo spettacolo è un viaggio all'interno di un mondo sintetizzato dalla musica, dal ritmo e dalle parole. La maschera del titolo non è semplicemente la maschera da intendere come mascheramento, camuffamento, camouflage  o come mera attività performativa, la maschera siamo noi.
L'idea che perseguo nello spettacolo è quella di rivelare "pezzi" di se stessi utilizzando anche la metafora circense.


Processo, morte e santificazione di un Pulcinella che non voleva portare la maschera
di Davide Sacco

con Donatella Barbagallo, Giulio Cancelli, Stefano Chiliberti,
Chiara Della Rossa, Stefano Flamia, Giuseppe Abramo,
Bruno Monico e Valeria Palma

Regia Donatella Barbagallo

TEATRO AMBRA ALLA GARBATELLA
Piazza Giovanni da Triora 15

Lunedì 18, martedì 19, mercoledì 20 gennaio 2016 ore 21.00
per prenotazioni: info@ambragarbatella.com

“Bellezza divina” tra Van Gogh, Chagall e Fontana. Firenze, Palazzo Strozzi

Scritto da  Ilaria Guidantoni Domenica, 13 Dicembre 2015

Main sponsor Arcidiocesi di Firenze e Banca Cassa di Risparmio di Firenze

24 settembre 2014/24 gennaio 2016

L’arte sacra e la sua rivoluzione dalla seconda metà Ottocento alla prima metà del Novecento: il passaggio dal sacro trascendente alla storicizzazione della sacralità con al centro il Cristo come uomo. Un percorso ricco e articolato che disegna la centralità della sacralità come ricerca spirituale più che religiosa nell’artista contemporaneo e la sua contraddittorietà anche nella rappresentazione.

Una mostra solo apparentemente classica che attraversa un secolo rivoluzionario nel rapporto tra l’uomo e il divino: il travaglio interiore che porta gli artisti a cercare la spiritualità prima e anche indipendentemente dalla religiosità si manifesta nel lavoro artistico, cambiando i connotati della rappresentazione sacrale. Una mostra ricca e articolata con un allestimento ben scandito nelle sessioni tematiche che cercano di cogliere i vari aspetti della sacra rappresentazione e finalmente una buona illuminazione delle opere che non è per nulla scontata.

Il percorso inizia con quadri di grandi e grandissime dimensioni quando la pala d’altare è ancora la forma dominante nella rappresentazione sacra e riunisce artisti italiani tra i quali Domenico Morelli con la “caduta di San Paolo”, con la pennellata dinamica di ascendenza impressionista e la luce che diventa protagonista, nel segno del realismo, non teatrale, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova; e internazionali come Vincent Van Gogh che con la sua “pietà” dei Musei Vaticani “firma” la locandina dell’esposizione, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernest, Georges Roualt, Henri Matisse ed Elisabeth Chpalin, artista francese di Fontenbleau naturalizzata fiorentina, di grande raffinatezza che nella sua Madonna con bambino imprime ai corpi un movimento rotatorio nell’avvolgenza del velo rosso e risente della lezione dei nabis. Le tematiche spaziano dalla sacra famiglia, all’annunciazione all’iconografia della Madonna riscoperta nella sua centralità nel corso dell’Ottocento dove alla suggestione mistica, si aggiunge il recupero della lezione stilnovistica della donna angelicata e della virtù femminile quale musa dell’arte e del percorso spirituale dell’artista nonché una nuova sensualità anche conturbante come nel caso delle due opere in mostra di Edvard Munch con la cornice attraversata da spermatozoi.

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giovedì 10 dicembre 2015

3M, la fotografa che fotografava donne…dello spettacolo fuori dello spettacolo

Scritto da  Ilaria Guidantoni Martedì, 08 Dicembre 2015

Un’esposizione a colori di formato quadrato di Chiara Samugheo

In occasione della fine dell’anno la Fondazione 3M Italia, terminato il lavoro di aggiornamento dell’archivio fotografico, ha presentato nella sua sede romana ventidue stampe a colori di Chiara Samugheo, prima donna italiana a diventare fotografa professionista, nata a Bari il 25 marzo 1935 come Chiara Paparella.

L’abbiamo visitata insieme al Segretario generale della Fondazione Daniela Aleggiani e il Curatore della mostra Roberto Mutti che ci ha illustrato la particolarità di questa fotografa, donna che ha ritratto donne dello spettacolo, ma fuori dal set in posizioni ed espressioni insolite, confidenziali, domestiche, fuori dal concetto del “posato”, certamente innovativo per l’epoca. Inoltre da considerare il formato quadrato, decisamente nuovo e anche, a mio parere, la tecnica per cui lo sfondo che contestualizza l’immagine in un reale vissuto, è sfuocato come nella tecnica cinematografica più recente importata dagli Stati Uniti. Come ci ha raccontato Mutti l’amicizia e, talora, la confidenza con le protagoniste delle foto ha consentito un’ambientazione insolita, intima e anche un’espressività che non riesce ad emergere solitamente in un ritratto.

“L’apparenza e il senso”, questo il titolo dell’esposizione, rivela qualcosa di intrigante e incantevole nei ritratti che Chiara Samugheo ha scattato negli anni Sessanta e Settanta ad attrici, cantanti, soubrette – quali tra cui Liz Taylor, Shirley MacLaine, Monica Vitti, Sophia Loren, Claudia Cardinale e Gina Lollobrigida - che, nell’Italia di quell’epoca, costituivano il sistema di un divismo prevalentemente legato al mondo del cinema. «Se, nonostante la distanza temporale, queste immagini mantengono intatta la loro forza comunicativa – ha precisato Mutti - è perché sono state realizzate con uno stile molto personale che nasconde dietro la sua apparente semplicità una raffinata e attenta elaborazione espressiva.

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lunedì 7 dicembre 2015

Il Bardo ad Aquileia

Scritto da  Ilaria Guidantoni Giovedì, 03 Dicembre 2015

Dal 6 dicembre 2015 al 31 gennaio 2016
Museo Archeologico Nazionale di Aquileia “Il Bardo ad Aquileia”

Quando l’arte diventa una risposta all’accoglienza: la prima tappa del viaggio nell’archeologia ferita del Mediterraneo. Il gemellaggio delle opere del Bardo di Tunisi con il Museo archeologico di Aquileia è un simbolo, all’indomani della tragedia dell’archeologia ferita dal terrorismo, metafora della distruzione della società da una parte, di rinnovata tolleranza e accoglienza dall’altra con l’obiettivo che il Mediterraneo torni ad essere un chiasmo tra popoli e culture. Aquileia, città mediterranea del nord, in una regione di passaggio e di incontro-scontro di profughi, attraverso l’arte intende offrire anche un’iniziativa sostenibile ad un’economia in crisi per un sviluppo che sia nel segno della cultura.

«E’ tempo ormai che la vittima dimenticata di queste tragedie, che è il patrimonio culturale, divenga oggetto di attenzione continua e sistematica.» Dall’appello di Paolo Matthiae «Quando finirà tutto questo male? Haec olim meminisse iuvabit.» Lettera di Giulio Carlo Argan a Pasquale Rotondi che sottrasse al saccheggio nazista opere inestimabili da Roma, Milano e Venezia tra cui “La Tempesta” di Giorgione

Prende il via con opere dal Museo di Tunisi il progetto Archeologia ferita, dal prossimo 6 dicembre, e fino al 31 gennaio 2016, grazie alla Fondazione Aquileia, al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia che ospiterà importanti reperti in arrivo dal Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, colpito lo scorso 18 marzo 2015 dall’efferatezza del terrorismo fondamentalista.
L’iniziativa “Il Bardo ad Aquileia” è nata il 18 maggio scorso, in occasione della visita del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella in Tunisia, come ha raccontato il Presidente della Fondazione Aquileia Antonio Zanardi Landi (allora Consigliere diplomatico del presidente). La proposta – per un costo complessivo di 140mila euro con una pubblicazione dedicata in francese e italiano – mira a testimoniare la vicinanza tra il popolo tunisino e quello italiano e, oltre ad essere un gesto di amicizia e solidarietà, rappresenta una corrispondenza culturale tra le due sponde mediterranee. Le 8 opere provenienti dal Bardo di Tunisi – che raccoglie la più grande collezione di mosaici romani al mondo - dialogheranno con i manufatti aquilesi non solo per sottolineare i legami e i collegamenti che caratterizzavano il Nord Africa e l’Alto Adriatico in età romana, nell’ambito di una circolazione di culture e religioni che abbracciava l’intero bacino del Mediterraneo, ma anche a testimonianza di quanti si oppongono a questa nuova terribile iconoclastia che tenta di negare alla radice il dialogo interculturale e interreligioso. La mostra - in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia e il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia- intende essere la prima di una serie di iniziative con l’obiettivo di portare in successione e con cadenza semestrale ad Aquileia opere d’arte significative provenienti da musei e siti colpiti dai tragici attacchi del terrorismo fondamentalista.

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Niente, più niente al mondo - Teatro Piccolo Eliseo (Roma)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 05 Dicembre 2015

Dal 2 al 13 dicembre. Interpretazione convincente, profonda, con momenti di amara comicità e tanto dolore. E’ il monologo di una madre di famiglia che si consola con il vermouth per una vita avara di soddisfazioni, senza prospettive e sogni. Niente, più niente al mondo come ne’ “Il cielo in una stanza”, solo che la protagonista di questo interno popolare torinese non ha neppure mai visto il cielo e i suoi sogni sono morti prima di nascere. Spettacolo terribilmente credibile e di un’attualità spiazzante, in un crescendo tragico dove la tragedia è il quotidiano.
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Produzione Casanova Teatro in collaborazione con Razmataz presenta
NIENTE, PIÙ NIENTE AL MONDO
di Massimo Carlotto
adattamento teatrale di Nicola Pistoia
con Crescenza Guarnieri
scena Francesco Montanaro
costumi Sandra Cardini
luci Marco Laudando
regia Nicola Pistoia
aiuto regia Cristina Baldassarri
datore luci Francesco Barbera
fotografie di scena Barbara Ledda
ufficio stampa Le Staffette

Al Piccolo Eliseo Crescenza Guarnieri torna in scena dal 2 al 13 dicembre con lo spettacolo "Niente, più niente al mondo", tratto dall’omonimo libro di Massimo Carlotto, con l'adattamento teatrale e la regia di Nicola Pistoia. E’ la storia in forma di monologo di un intenso dramma familiare tra noir e racconto sociale. E’ un crescendo inesorabile con un finale nebuloso che sapientemente salta la narrazione dei particolari e si affida all’occhio e all’intesa dello spettatore. La donna, sola in scena, come in un delirio straziante, ironico e mai patetico, rievoca la propria storia e quella drammatica della sua famiglia, il rapporto con il marito e la figlia unica, tra bisogni e ossessioni, vite perdute, sogni infranti, il dio denaro, una battaglia per dimenticare.
Giovane sposandosi si trasferisce dal paese nella grande Torino, meta di sogno e grande delusione: è alla catena di montaggio della Fiat che ha perso la salute il padre ed è il buco nero che inghiotte i sogni. E’ stato il matrimonio il giorno più bello della sua vita, l’unico per il quale ha indossato un abito importante, l’ultimo vissuto come una promessa. Di allora ricorda la speranza, le fantasie mai avverate e le note di una canzone, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, cantata alla chitarra dal cugino del marito: sono i ricordi della promessa di giorni felici mai arrivati, in un quotidiano senza storia e senza musica.

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mercoledì 2 dicembre 2015

“11 donne a Parigi”. Anteprima Cinema Adriano di Roma

Scritto da  Ilaria Guidantoni Martedì, 01 Dicembre 2015

Nei cinema dal 3 dicembre 2015

Commedia scoppiettante, per certi aspetti surreale al limite del grottesco, dal tono francese – con qualche caduta e lunghezza eccessiva – tutta al femminile. Il maschio ne esce sconfitto, debole e vinto in un modello certamente francese, con l’intraprendenza un po’ cinica e ai limiti della malignità della complicità al femminile.

Due ore di ritmo serrato, sul tono del rosso, vero fil rouge, di una commedia giocata sull’eros e sul ritmo ormonale delle donne, 11 donne a Parigi a primavera per 28 giorni, sfaccettature dell’universo femminile e ognuna molte donne ad un tempo. La commedia – titolo originale (e più divertente) Sous le jupes des filles - di maggior successo in Francia degli ultimi anni, arriva in Italia. Se l’avvio è frizzante e leggero, il tono si fa in certi punti surreale, quasi un po’ claustrofobico – tra manie, paure, ossessioni, fisime e tic delle protagoniste – perfino grottesco, lasciando alla fine l’amaro in bocca e una nota di speranza. E’ un affresco sulla debâcle sentimentale e le voragini psicologiche delle donne di fronte al mondo dei sentimenti e dell’intimità. Un mosaico amaro dove la speranza alla fine è data comunque dalla famiglia, rappresentata dall’unica storia del film che fotografa in modo decisamente credibile la società francese.

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lunedì 30 novembre 2015

Cairo Off Biennale. A New Social Contract

Scritto da  Redazione Cultura Domenica, 29 Novembre 2015

Dal 28 Novembre al 30 Dicembre
Organizzata da Darb 1718
Curatore Simon Njami
A NEW SOCIAL CONTRACT Project di Elena Giulia Abbiatici

Nove giorni prima di morire Immanuel Kant ricevette una visita del suo medico. Benché vecchio, malato e quasi cieco, si levò e se ne stette in piedi, tremante di debolezza, mormorando parole incomprensibili. Alla fine il medico comprese che egli non si sarebbe seduto finché lui stesso non si fosse accomodato, cosa che egli fece mentre Kant osservò: «Il senso dell’umanità non mi è ancora venuto meno».
Per Kant Humanität significava la consapevolezza di princìpi liberamente accettati e imposti a se stesso. Storicamente, il termine Humanitas aveva una duplice concezione: la prima indicava valore, data dalla relazione tra l’uomo e ciò che è inferiore; la seconda il limite, basata sulla relazione tra l’uomo e ciò che è superiore all’uomo (il divino).
Il concetto di umanità come valore distingue l’Homo Humanus dal “barbaro”, al quale mancano pietas e paideia, il rispetto per i valori morali e la cultura.
Quando durante l’Umanesimo Marsilio Ficino definisce l’uomo come «l’anima razionale che partecipa dell’intelletto divino ma opera in un corpo», afferma che egli è l’unico essere indipendente e completo. E Pico della Mirandola nel suo noto discorso sulla dignità umana afferma che l’uomo è posto al centro dell’universo affinché possa aver coscienza del luogo dove si trova e liberamente decidere dove volgersi. La dignità umana è proporzionale alla sua libertà e in tal senso l’Umanesimo più che un movimento culturale fu un atteggiamento di consapevolezza dei valori umani (razionalità, dignità, libertà) e di accettazione dei limiti dell’uomo (fallacia, debolezza e finitezza), quindi di responsabilità e tolleranza.
Something Else esprime la volontà di rinascita dell’Umano, a partire dall’osservazione della reale vita delle città, come in un processo scientifico, e di ipotizzare una «nuova solidarietà».
«Cosa significa Solidarietà? Da cosa è rappresentato lo stare insieme?» Dalla Società.

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Pier Giorgio Bellocchio: maratoneta del palcoscenico. Incontro con l’Emone dell’Antigone secondo Filippo Gili

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 28 Novembre 2015

Cresciuto a pane e cinema, ha scelto il teatro per lavorare su se stesso e misurarsi con l’unicità della replica e del suo pubblico. Con il personaggio di Emone ha lavorato sulla lentezza, “fermando” la propria fisicità, per andare oltre. A due giorni dal debutto dello spettacolo "Antigone" per la regia di Filippo Gili abbiamo incontrato Pier Giorgio Bellocchio, giusto prima di entrare in scena, per avere uno sguardo sullo spettacolo dal palcoscenico, dalla parte dell’attore.

«Il rapporto attore-regista, soprattutto nel teatro, è un filtro personale e personalizzato: sul palcoscenico i tempi consentono un dialogo e un costante aggiustamento che non finisce con il debutto del lavoro. In particolare con Filippo lavoro da qualche anno - recentemente ho recitato nel suo Amleto e precedentemente nell’Oreste di Euripide - e per me ogni volta è un’occasione preziosa di formazione e di approfondimento soprattutto per il suo modo di riscrivere i testi che traccia l’intenzione e la direzione da dare alla propria interpretazione.»

L’Antigone per te è una prima volta?
«Sì e la riscrittura e lo sforzo di attualizzazione valgono al cento per cento per quest’opera innanzitutto per il valore e il peso storico intrinseco di un mito universale e un intreccio di relazioni che rappresentano categorie filosofiche e analitiche, oltre che letterarie, che si sono stratificate nei secoli. Il fascino è la messa in scena che diventa a sua volta un’ulteriore lettura. In questo caso la riscrittura del testo, con una modernizzazione che non lo ha snaturato o alterato ma reso, al contrario, vitale, credibile, ha concesso a me attore di essere meno enfatico e più emozionale, meno accademico e più credibile.»

Dal punto di vista del linguaggio cosa ti ha suggerito?
«Il linguaggio è stato fluidificato e ho cercato di lavorare rapidamente sull’acquisizione in termini di memoria e lentamente sulla familiarità che questa versione crea, anche se si tratta di una lingua tutt’altro che semplice e certamente non di uso quotidiano. Il lavoro dietro le quinte quando, come in questo caso, il regista spiega e offre gli strumenti per capire come arrivare al risultato, senza portare semplicemente (o anche in modo complesso) l’attore quasi “trascinandolo”, consente all’interprete l’acquisizione di un patrimonio di metodo che si stratifica nella propria esperienza.»

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Immigrati brava gente - Teatro de' Servi (Roma)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 28 Novembre 2015

Dal 24 novembre al 13 dicembre è in scena al Teatro de' Servi "Immigrati brava gente", scritto, diretto e interpretato da Bernardino De Bernardis. L’immigrazione e la clandestinità in salsa partenopea dove gli “immigrati” e soprattutto i “clandestini” come categoria siamo noi: lavoro articolato che mette insieme la lezione della commedia napoletana classica con lo stile della fiction e della nuova cinematografia locale dove i temi di attualità sono trattati in versione pop.

La Vie Boheme associazione culturale presenta
IMMIGRATI BRAVA GENTE
con (in ordine di apparizione)
Bernardino De Bernardis (Salvatore Croccolo)
Angela Ruggiero (Maria Croccolo)
Ruddy Almada (Omar)
Simonetta Milone (Carmela)
Francesca Di Meglio/Francesca Epifani (Angela Croccolo)
Matteo Fasanella (Roberto Croccolo)
Elena Verde (Donna Concetta)
Antonio Coppola (Ispettore Trovato)
Salvo Miraglia (voce annuncio)

scritto e diretto da Bernardino De Bernardis
scenografia Alessandra Ricci
direttore di scena Maurizio Marchini
consulenza artistica Serena Fraschetti
registrazione audio Studi AreaVox
video Giulio Ciancamerla

Un lavoro impegnativo, più scanzonato e con qualche tratto volutamente sguaiato nella prima parte, prende un tono più riflessivo e amaro nella seconda, inframezzato dalla canzone italiana che non è solo una soluzione alternativa alla formula del musical: è anche l’anima di Napoli che canta, è un messaggio che la musica dice meglio della prosa, come il finale con “Io non ho paura” di Fiorella Mannoia che di questi tempi diventa un manifesto.
Interessante è anche l’inserzione ben dosata di qualche video ed il richiamo all’attualità dell’emigrazione in tempi di sospetti e insicurezza e di precarietà nel lavoro e negli affetti anche in casa nostra. Tutto sembra in fondo scivolarci addosso o far parte di una retorica buonista finché non accade in casa propria.

La commedia napoletana, scritta, diretta e interpretata da Bernardino De Bernardis, sul tema della diversità delle culture fa presa anche nei suoi paradossi sulle difficoltà di una società complessa e sgretolata come la nostra, animata dall’astio e dalla diffidenza, a cominciare dalla propria famiglia.

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mercoledì 25 novembre 2015

Marco Masini, quando il pop diventa blues

Scritto da  Ilaria Guidantoni Lunedì, 23 Novembre 2015

E’ dalla fragilità e dalle paure che il coraggio trae alimento per non essere temerarietà ma voglia di combattere e creare. Scrivere è la vocazione del cantautore fiorentino, un amore viscerale con la città, e l’idea che la musica sia solo un altro modo di scrivere.

Il nostro primo incontro è stato inconsapevole e ne ho memoria solo dai racconti di famiglia. Sì perché in qualche modo le nostre storie sono unite, alla lontana, per via di un legame di parentela. La tenacia e un certo carattere ribelle non l’hanno abbandonato, regalandogli così il coraggio per affrontare non poche prove difficili da superare nella vita personale come nella carriera professionale. Alla fine il “brutto anatroccolo” com’era stato bollato dalla critica – per altro non la più aggressiva – è diventato un cigno del palcoscenico, combattendo a suon di parole e di musica. In Algeria, paese che tiene in grande considerazione la musica – un proverbio dice che se dimentichi la musica per un giorno, la musica è pronta a dimenticarti per un anno perché la musica è una cosa seria, una vocazione che chiede fedeltà. Per Marco sembra proprio così.

Quando hai avvertito il primo impulso a cantare o a suonare?
«Nell’infanzia. Avevo, credo, cinque anni e i miei genitori mi regalarono un organo “giocattolo” e si accorsero che io riuscivo a suonare ad orecchio.»

Quindi è nata prima la vocazione a suonare che a cantare?
«La musica e l’amore per il pianoforte ma anche lo studio per le tecniche musicali della musica pop e moderna hanno mi hanno accompagnato per molti anni fino a diventare un musicista professionista.»

Come ha preso forma il tuo desiderio di diventare cantautore?
«La voglia di cantare mi accompagnava nel senso che canticchiavo quello che scrivevo, lavorando come pianista di piano bar. Poi casualmente il bassista con il quale facevo coppia si ammalò e mi invitò a sostituirlo e cominciai a cantare anche quello che stavo scrivendo in quel momento, capendo che poteva essere una nuova strada per me.»

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Mudec, museo delle culture

Scritto da  Ilaria Guidantoni Lunedì, 23 Novembre 2015

A Milano le suggestioni del primitivismo di Gauguin

Uno spazio multifunzionale dedicato all’interculturalità dove le linee morbide dell’involucro riflettono il dialogo tra mondi lontani da attraversare. Collezioni “leggere” per valorizzare mostre, eventi e spazi da vivere.

Il progetto del Museo delle Culture ha origine negli anni 1990 quando il Comune di Milano acquista la zona ex industriale dell’Ansaldo per destinarla ad attività culturali. Le molte fabbriche dismesse, diventate testimonianze di archeologia industriale, sono state trasformate in laboratori, studi e nuovi spazi creativi. In tale contesto l’Amministrazione meneghina progetta un polo multidisciplinare dedicato alle diverse testimonianze e culture del mondo, sede espositiva delle civiche Raccolte etnografiche. Nasce così il Museo delle Culture, originariamente concepito in un contesto socio-economico molto diverso dall’attuale, che è stato poi ripensato nel nuovo assetto urbanistico. L’aspetto significativo da sottolineare è la vocazione all’interculturalità che oggi conferma Milano una capitale in tal senso, soprattutto alla luce dell’Expo. Lo spazio accoglie con un’architettura di grande morbidezza che avvolge lo spettatore in un percorso fluido dove protagonista indiscussa è la luce, insieme al vetro e al legno e si caratterizza per una linearità curvilinea che abbraccia anche metaforicamente. La grammatica architettonica sembra alludere alla possibilità attraverso l’arte di abbattere barriere e confini o, meglio, di concepirli come linee di attraversamento e ponti piuttosto che divisori. Il viaggiatore del Museo delle Culture – su una superficie di 17mila metri quadrati, all’interno dell’ex Fabbrica Ansaldo, in via Tortona - potrà visitare mostre internazionali declinate attraverso i diversi linguaggi artistici, conoscere il patrimonio etno-antropologico delle collezioni del Comune di Milano composte da oltre 7000 opere d’arte, oggetti d'uso, tessuti e strumenti musicali provenienti da tutti i continenti; nonché partecipare a una programmazione di eventi e iniziative a cura delle comunità internazionali presenti sul territorio. L’area espositiva del Museo, al primo piano, si sviluppa intorno ad una grande piazza centrale coperta e ospita la sezione del percorso museale con le opere della collezione permanente e le sale dedicate alle grandi mostre temporanee.

Completa lo spazio l’auditorium, un teatro da trecento posti dedicato alle performance e alle arti visive. Il piano terra, destinato all'accoglienza e servizi, è dotato di bistrot, design store, sala Forum delle Culture, sala conferenze-spazio polifunzionale, spazio per la didattica, laboratorio di restauro e depositi allestiti per essere visitati da piccoli gruppi accompagnati. Il MUDEC Junior, infine, è uno spazio appositamente dedicato ai bambini, dove ci si propone di avvicinare anche i più piccoli alle diverse culture del mondo attraverso attività ludiche, postazioni multimediali e laboratori manuali.

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lunedì 23 novembre 2015

Dal 10 Dicembre a Roma Sister Act il Musical

Dal 10 Dicembre 2015

Per la prima volta a Roma, Teatro Brancaccio

Sister Act il Musical

Special guest Suor Cristina  nel ruolo di Suor Maria Roberta

musiche ALAN MENKEN
liriche GLENN SLATER
testo CHERI STEINKELLNER e BILL STEINKELLNER
dialoghi aggiunti DOUGLAS CARTER BEANE
basato sul film Touchstone Picture “Sister Act” scritto da Joseph Howard
traduzione e liriche italiane FRANCO TRAVAGLIO
direzione musicale STEFANO BRONDI
coreografie RITA PIVANO
scene GABRIELE MORESCHI
costumi CARLA ACCORAMBONI
disegno luci VALERIO TIBERI
disegno suono EMANUELE CARLUCCI
regia SAVERIO MARCONI


Per la prima volta arriva al Teatro Brancaccio dal 10 dicembre SISTER ACT - il Musical, tratto dall’omonimo film del ’92 che consacrò Whoopi Goldberg nell’indimenticabile ruolo di Deloris, “una svitata in abito da suora”.

Alessandro Longobardi, direttore artistico dello storico teatro romano, dopo il successo ottenuto con RAPUNZEL - il Musical, avvia questo nuovo progetto firmato da Viola Produzioni in collaborazione con la Compagnia della Rancia, per realizzare uno degli spettacoli più attesi della stagione, già grande successo a Broadway.

Venticinque brani musicali scritti dal premio Oscar Alan Menken, (mitico compositore statunitense autore delle più celebri colonne sonore Disney come “La Bella e la Bestia”, “La Sirenetta”, “Aladdin” e altri show tra cui “La Piccola Bottega degli Orrori” e “Newsies”), che spaziano dalle atmosfere soul, funky e disco anni ’70, alle ballate pop in puro stile Broadway, in cui si innestano cori Gospel e armonie polifoniche.

Il testo e le liriche tradotti da Franco Travaglio coinvolgeranno il pubblico in una storia dinamica, incalzante e divertente tra gangster e novizie, inseguimenti, colpi di scena, rosari, paillettes con un finale davvero elettrizzante.

Lo spettacolo è diretto da Saverio Marconi, coadiuvato da un team artistico composto da Stefano Brondi (direttore musicale), Rita Pivano (coreografa), Gabriele Moreschi (scenografo), Carlo Buttò (direttore di produzione), Carla Accoramboni (costumista), Valerio Tiberi (disegno luci) e Emanuele Carlucci (disegno suono).

Nelle affollate audizioni tenutesi al Teatro Brancaccio lo scorso aprile, sono stati selezionati 22 eccellenti artisti tra conferme e nuovi talenti.

Il ruolo di Deloris (ovvero "Suor Maria Claretta"), il ciclone che travolgerà la tranquilla vita del convento, è affidato alla madrilena Belìa Martin, già applauditissima protagonista dell’edizione spagnola del musical.

“L'ho vista in scena a Barcellona – dice Alessandro Longobardi – mi ha stregato con la sua interpretazione e la sua voce nera, calda, in stile gospel. Ha una grande energia, è una ragazza semplice ma di enorme talento; l’ho incontrata fuori dai camerini e invitata a partecipare alle audizioni a Roma, dove Saverio Marconi senza esitazione ha detto: 'Belìa è perfetta nel ruolo, è lei la nostra Deloris'”.

Il noto attore e conduttore televisivo Pino Strabioli dopo il successo ottenuto con il programma “E lasciatemi divertire” su Rai 3 con Paolo Poli e i recenti successi teatrali (“WikiPiera” con Piera Degli Esposti e “L’abito sposa”), per la prima volta affronterà il musical nel ruolo di Monsignor O’Hara.

E tra gli artisti c’è anche una special guest. Dopo il grande successo a The Voice Italia e del primo disco “Sister Cristina” prodotto da Universal, Suor Cristina abbraccia l’esperienza del grande musical: in SISTER ACT sarà impegnata nel ruolo della novizia Suor Maria Roberta.

“La mia passione per il canto e la musica credo sia nata proprio con me, una passione cresciuta durante l’adolescenza: sognavo di diventare una performer un giorno. La mia strada è stata un’altra, ma il Signore ti dà cento volte tanto… ed eccomi qua, un sogno che si realizza insieme al meraviglioso cast di SISTER ACT!”.

Sul palcoscenico Suor Cristina si alternerà (con un calendario in via di definizione, nel rispetto di impegni della vita di convento) con Veronica Appeddu. “Stiamo lavorando molto bene insieme – dice Suor Cristina – ci scambiamo opinioni sul personaggio, cerchiamo, ognuna con il suo vissuto, di disegnarlo al meglio, grazie anche al regista Saverio Marconi.”

Insieme a loro, performer di grande esperienza come Francesca Taverni (“Cats”, “Mamma mia”, “Next to Normal”, “A Chorus Line”), una voce con inclinazioni rock molto amata nel panorama del musical italiano nel ruolo della Madre Superiora, Felice Casciano (“Pinocchio”, “Frankenstein Junior”, “La piccola bottega degli orrori”, “A qualcuno piace caldo”) nel ruolo di Curtis il gangster con la sua voce calda, profonda in puro stile Barry White e nuovi talenti come l’ esordiente Marco Trespioli che ha conquistato con la sua voce tenorile il ruolo del Commissario Eddie.


Teatro Brancaccio
Via Merulana, 244 – 00185 Roma
Tel 06 80687231/2 Fax 06 80687235
www.teatrobrancaccio.it

mercoledì 18 novembre 2015

Il viaggio nel tempo di Marco Masini

Scritto da  Ilaria Guidantoni Date created Martedì, 17 Novembre 2015

Concerto al Teatro Nazionale di Milano
Lunedì 16 novembre 2015

Cronologia ma non solo, il viaggio nelle emozioni che Marco Masini regala al suo pubblico con due ore generose di spettacolo dove il respiro batte all’unisono dalle due parti del teatro. Non è solo un cammino che ripercorre venticinque anni di carriera, sofferta, travagliata e riuscita. E’ un andare a ritroso, provare a riavvolgere il nastro, lasciarsi trasportare nei deragliamenti per raccontarsi e riflettere sull’uomo, sul bisogno disperato d’amore che alla fine è l’unica cosa che conta e sulla musica come vocazione che anche e proprio nei momenti più duri non lascia solo nessuno e fa sentire come un piccolo Chopin chi si mette a un pianoforte. Uno spettacolo di teatro, di parole e non solo quelle cantate: un uomo che si mette a nudo con il suo coraggio senza rinnegare le paure e senza dimenticare un mondo che sembra andare in rovina. Una bella prova di energia e di garbo, una voce calda e rotonda che mostra senza esibizione lo studio e la versatilità del suo muoversi sul palco, lasciando la rabbia alle spalle dei primi anni di carriera. Protagonista certamente, riesce però a farsi avvolgere in un tutto che si muove in armonia: i compagni di viaggio che lo accompagnano sul palcoscenico e i video che non scorrono alle spalle come una “decorazione” o una didascalia ma dialogano come personaggi e voce narrante di questo teatro musicale.
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Data unica al Barclays Teatro Nazionale di Milano per Marco Masini, il 16 novembre scorso, tappa di un tour fitto di appuntamenti che si è esibito con il suo Cronologia Tour: il cantautore fiorentino, nato il 18 settembre del 1964, ripercorre a ritroso 25 anni di carriera citando le tappe musicali più significative da “Ti vorrei” a “Vaffanculo”, da “T’innamorerai” a “Bella stronza”, da “L’uomo volante” (con cui ha vinto il 54° Festival di Sanremo nel 204) fino all’ultimo successo sanremese “Che giorno è” nello spirito del suo ultimo triplo album antologico “Cronologia” (Sony Music). Ma c’è anche spazio per “Disperato” dedicato al padre, una canzone struggente e una confessione coraggiosa con la quale si aggiudicò la vittoria a Sanremo nel 1990 per la categoria giovani. Marco Masini è accompagnato sul palco da una band composta da Massimiliano Agati (batteria), Cesare Chiodo (basso), Antonio Iammarino (tastiere), Alessandro Magnalasche (chitarra elettrica ed acustica) e Stefano Cerisoli (chitarra elettrica ed acustica). RADIO ITALIA è la radio media partner ufficiale del “Cronologia Tour – Teatri”.

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venerdì 13 novembre 2015

Presentazioni libro Il Terzo Occhio

Il 13 novembre 2015 (ore 18), a Penne (Pe), presso la Chiesa di San Giovanni Evangelista, in occasione della 18ema Biennale d’Arte sarà presentata la nuova pubblicazione di Ivan D’Alberto - Il Terzo Occhio - dall’omicidio di Avetrana a Profondo Rosso, dai plastici di Bruno Vespa alle installazioni di Angelo Colangelo, edito da primeVie Edizioni (Corfinio Aq – ottobre 2015).
Oltre l’autore saranno presenti Antonio Zimarino e Martina Lolli, curatori della Biennale.

Il libro sarà poi presentato il 20 novembre a Roma, presso lo Spazio TRAleVOLTE. A quest’ultimo appuntamento parteciperà la prof.ssa Michela Becchis, (storico dell’arte e docente all’Università Tor Vergata di Roma), la quale ha scritto la prefazione del libro e Francesco Pezzini, responsabile dello Spazio TRAleVOLTE.

Attraverso un approccio tipico degli studi visuali il volume è già di per se un progetto editoriale costruito secondo un’impalcatura propria dei cultural studies: capitoli brevi ma incisivi, con molte note e riferimenti bibliografici tratti direttamente dal web e un apparato fotografico inedito ed esplicativo il più delle volte recuperato su Internet.
Seguendo una linea scientifico-narrativa che inizia con l’analisi della cultura artistica e letteraria di fine Ottocento, lo studio prosegue nelle larghe trame della pornografia orrorifica, le inchieste giornalistiche subalterne e il cinema d’autore, dimostrando come il caso di Avetrana di Puglia, intesse maglie con il film Profondo Rosso di Dario Argento e il romanzo giallo di Kate Summerscale Omicidio a Road Hill House (vicenda realmente accaduta nell’Inghilterra di metà ‘800).

I rifermenti culturali chiamati in causa in questa sorta di “album di esercizi” dialogano con molte proposte artistiche di autori contemporanei come ad esempio le foto di Daniele Ratti, Goldiechiari e Fabrizio Sacchetti, le installazioni di Angelo Colangelo e la rinnovata pittura di Dario Carratta, a dimostrazione di come l’arte sia sempre stata lo “specchio della società”.
L’indagine poi giunge a registrare quello che Jean Clair definisce disgustoso e che Julia Kristeva chiama Arte dell’Abiezione, ovvero le scorie che questa ricerca della verità ha messo in luce, come ad esempio i 486 fotogrammi sulla morte del presidente americano J. F. K. di Abraham Zapruder, il sangue che scorre sul corpo esamine del dittatore Muammar Gheddafi e l’immagine di un coniglio schiacciato da una pressa industriale fotografato dall’artista Simone Ialongo.
Ma così come accadde con La zattera della Medusa di Géricault, inizialmente considerata oscena e lontana da ogni canone estetico e invece oggi ritenuta manifesto della cultura francese di fine Ottocento, non è detto che queste immagini, ora considerate indecorose e di cattivo gusto, diventino, in un futuro non troppo lontano, il manifesto del nostro tempo.

Il progetto editoriale si completa con una prefazione a cura di Michela Becchis e una postfazione a cura di Franco Speroni a presentazione e a sostegno delle tesi avanzate nel testo.

"Mustang" di Deniz Gamze Ergüven

Scritto da  Ilaria Guidantoni Giovedì, 12 Novembre 2015

L'atteso film turco Mustang, opera prima della regista Deniz Gamze Erguven(sezione Lux Film Days a Roma), rivelazione della Quinzaine des Réalisateurs di Cannes 2015 e candidato ai Premi Oscar dalla Francia come miglior film straniero, è un vitale ed energico spaccato sulla condizione femminile in Turchia.

Protagoniste sono Lale e le sue quattro sorelle, animate da un comune desiderio di libertà per contrastare le rigide imposizioni della famiglia. Film ben girato con un ritmo sostenuto in grado di esprimere modulazioni differenti seguendo con la macchina da presa in modo flessibile e con la versatilità del clima situazioni differenti e sentimenti vari. Cinque sorelle allevate in assenza dei genitori scomparsi dalla nonna e uno zio ambiguo nel rigore e con l’unico obiettivo di dover diventare buone mogli. Cinque personalità diverse unite da un grande affetto, complicità e voglia inesausta di vivere; cinque destini diversi che riproducono un microcosmo: dal matrimonio felice per amore, alla frustrazione di un legame combinato, alla fuga con una scelta drammatica e due all’insegna della scoperta e del rischio, con una nota surreale per affrontare la quale essere in due è ciò che conta, anche se la spinta viene proprio dalla sorella minore. Il film alterna momenti di grande allegria e vitalità, alla rabbia, al gioco, allo scandaglio di mentalità bigotte e di ribellioni esagerate, dove la costrizione alimenta il desiderio di trasgressione. Interpretato in modo convincente e sincero, è attento e curato nella ripresa degli ambienti, dei volti, delle situazioni, senza lasciar cadere nessun dettaglio, dai costumi alla luce, filtrando ambienti diversi che soprattutto in alcuni paesi disegnano confini netti: la casa e la vita ai limiti del bosco; il paese; il mondo della spiaggia e del mare che allude alla libertà e alla trasgressione e il mito lontano di Istanbul che si intravede alla fine come un orizzonte alle primi luci di un’alba che è la promessa di un ritorno alla vita.

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“Parisienne” di Danielle Arbid. Medifilm festival 2015 21° Edizione

Scritto da  Ilaria Guidantoni Mercoledì, 11 Novembre 2015

In Concorso per il Premio Amore e Psiche, proiezione del film francese Parisienne, di Danielle Arbid, presentato dall'attore non protagonista, Paul Hamy.

Il film, insolita commistione di coming-of-age e immigrazione, è un delicato ed intimo racconto di formazione – ispirato ai primi anni parigini della regista stessa – su una 18enne (l'attrice-rivelazione Manal Issa) appena arrivata a Parigi da Beirut alla ricerca della libertà. Con la città e i suoi ragazzi, da adolescente diventerà donna. Una storia delicata di iniziazione di una ragazza senza punti di riferimento, smarrita e curiosa, reticente solo all’inizio, che finisce per perdersi in una Parigi senza valori solidi, tra amori che in qualche modo la usano e la trascinano in una vita non sua.
Lina però sul fronte dell’impegno riesce a lavorare con profitto e dopo qualche incertezza, un’inscrizione alla facoltà di economia, quindi di Lettere in letteratura comparata, sceglie di seguire l’arte proprio per la sua voglia di libertà e di scardinare le convinzioni legate a parametri fissati una volta per tutti. Addirittura lavora, in un call centre di un’agenzia immobiliare, oltre quello che sarebbe consentito dal suo permesso di soggiorno.

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“Napolislam” di Ernesto Pagano. Medifilm festival 2015 21° Edizione

Scritto da  Ilaria Guidantoni Mercoledì, 11 Novembre 2015

Roma 6/13 novembre
Cinema Savoy / Museo MACRO

Festival di Interesse Nazionale, Manifestazione Storica del Comune di Roma, Festival di Interesse Culturale per Forum Mediterraneo e Partenariato Euro-Mediterraneo

Quinto giorno di proiezioni e incontri - martedì 10 novembre - per il MedFilm Festival, che si tiene in questa sua 21ma edizione presso il Cinema Savoy e il MACRO di Roma. Il più antico festival della capitale, fondato e diretto da Ginella Vocca, quest'anno presenta complessivamente 78 film, di cui 51 anteprime italiane, europee ed internazionali, accompagnati da prestigiosi ospiti.

SaltinAria ha seguito, in sala 2, Napolislam, di Ernesto Pagano, presentato nella sezione Perle: alla scoperta del nuovo cinema italiano. Un bel giorno Napoli si sveglia e si scopre islamica. Una telecamera attraversa la città ed entra nelle vite di dieci convertiti all’Islam, un disoccupato, una ragazza innamorata, un rapper, un padre di famiglia... Tra una zeppola halal e una preghiera per strada, la loro storia quotidiana getta una luce nuova, di volta in volta divertita e amara, su Napoli e sulla nostra società al ritmo di rap.
Riuscire a descrivere con un certo anticipo i cambiamenti di una società è una delle caratteristiche più ricercate nel cinema documentaristico o di genere. Lo ha fatto magistralmente Ernesto Pagano nel suo premiato docu-film Napolislam, documentario sui napoletani convertiti alla religione musulmana ricco di spunti interessanti ed ironia, che arriva a Tunisi con MedFilm (a Cartagine il 27 novembre prossimo) per le ''Giornate del Cinema italiano'' dal 21 al 28 novembre, un ''Festival nel Festival'' per conoscere l'Italia di ieri, di oggi e forse di domani, nell'ambito delle Giornate Cinematografiche di Cartagine.

Il film, come ha raccontato il produttore, Matteo Parisini è nato nel 2008 da un incontro del regista Ernesto Pagano – giornalista televisivo – con Ciro un pizzaiolo che si è convertito all’Islam per una serie di concatenazioni. Era entrato in libreria per cercare un libro su Maradona e per caso accanto ha trovato il Corano.

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martedì 10 novembre 2015

Medifilm festival 2015 – 21 edizione

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 07 Novembre 2015

Roma 6/13 novembre
Cinema Savoy / Museo MACRO

Festival di Interesse Nazionale, Manifestazione Storica del Comune di Roma, Festival di Interesse Culturale per FORUM MEDITERRANEO e PARTENARIATO EURO-MEDITERRANEO.

Un incontro tra le due sponde del mare nostrum che ha dimostrato, soprattutto in quest’edizione, la centralità del Mediterraneo nello scacchiere internazionale e la priorità per l’Italia in termini di politica estera. Le tante richieste e il loro contenuto mostrano una grande vivacità della sponda sud e la varietà dei temi tra i quali spiccano in particolare l’emergenza dei migranti, la questione dell’integrazione, i diritti dei più deboli a livello sociale, le donne, gli orientamenti sessuali non riconosciuti, i senza patria. Per la sponda nord solo una presenza italiana, francese e croata tra le 10 selezionate mentre la sponda sud è rappresentata ampiamente da Marocco, Algeria, Tunisia, Egitto, Libano, Israele, Palestina, fino all’Iran. Da segnalare anche la presenza della Turchia paese di confine tra queste due anime mediterranee. La scelta del Medfilm è una cooperazione nel segno della reciprocità con una giuria “popolare”, accanto a quella tecnica costituita da residenti stranieri e l’idea della coproduzione reale. Non quindi film come il pluripremiato “Much loved” sulla prostituzione in Marocco, prodotto in Francia e realizzato da un regista nato e cresciuto in Francia sebbene da genitori immigrati.

Quanto alla scelta tematica, il tema degli ultimi, siano diseredati, in fuga, privati dei diritti e così via, resta al centro di quest’edizione. Da segnalare anche l’orientamento per una filmografia non imponente dal punto di vista dei mezzi di produzione e dei costi. E’ come se la forma raccontasse e sposasse lo stesso contenuto.
L’appuntamento è un’occasione importante di incontro e di scambio che mostra come la cultura sia in grado di fare da ponte e di ricostruire antichi legami lacerati e violati. Tra l’altro, grazie al Medfilm, ha raccontato la direttrice ed ideatrice del Festival, Ginella Vocca, l’Italia è stata invitata come ospite d’onore alle Giornate del Cinema di Cartagine che si terranno a Tunisi dal 21 al 28 novembre.
Il MedFilm Festival ritorna alle sue date storiche, la 21° edizione si terrà infatti dal 6 al 13 novembre, presso il Cinema Savoy e il MACRO. Un ricco cartellone di film, incontri di approfondimento, libri ed eventi speciali.

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Il giardino dei ciliegi - Teatro Quirino (Roma)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 07 Novembre 2015

Dopo il recente trionfo al Teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo, salutato da sette minuti di applausi, giunge a Roma Il Giardino dei ciliegi di Cechov con la regia di Luca De Fusco, in scena dal 3 al 15 novembre al Teatro Quirino. Uno spettacolo raffinato, dove la stilizzazione consente una modernizzazione accettabile della vicenda di una famiglia nobile decaduta sullo sfondo del fermento pre-rivoluzionario russo, che diventa metafora di ogni rivoluzione, abbracciando sia il tempo che passa e la vecchiaia che avanza, sia un cambiamento di paradigma privato o collettivo. Il clima della storia è sospeso in una dimensione quasi fiabesca e universale (forse questo il senso della traduzione in napoletano e di un’ambientazione che potrebbe essere mediterranea). Interpretazione corale convincente.

Teatro Stabile di Napoli e Teatro Stabile di Verona presentano
IL GIARDINO DEI CILIEGI
di Anton Čechov
traduzione Gianni Garrera
con Gaia Aprea, Paolo Cresta, Claudio Di Palma, Serena Marziale, Alessandra Pacifico Griffini, Giacinto Palmarini, Alfonso Postiglione, Federica Sandrini, Gabriele Saurio, Sabrina Scuccimarra, Paolo Serra e Enzo Turrin
scene Maurizio Balò
costumi Maurizio Millenotti
luci Gigi Saccomandi
coreografie Noa Wertheim
musiche originali Ran Bagno
adattamento e regia Luca De Fusco

Dopo il felice debutto al Napoli Teatro Festival 2014 e i successi riscossi nei teatri italiani - da Merano a Bolzano, Verona, Genova, Perugia -, nonchè reduce dalla trionfale accoglienza al Teatro Aleksandrinskij di San Pietroburgo a settembre scorso, approda al Teatro Quirino di Roma Il Giardino dei ciliegi di Cechov con la regia di Luca De Fusco.

Nella bella traduzione di Gianni Garrera, la pièce è interpretata da Gaia Aprea, nel ruolo della protagonista Ljiuba, Paolo Cresta (Jaša), Claudio Di Palma (Lopachin), Serena Marziale (Dunjaša), Alessandra Pacifico Griffini (Anja), Giacinto Palmarini (Trofimov), Alfonso Postiglione (Pišcik), Federica Sandrini (Varja), Gabriele Saurio (Epichodov), Sabrina Scuccimarra (Šarlotta), Paolo Serra (Gaev) ed Enzo Turrin (Firs). Le scene sono di Maurizio Balò; i costumi di Maurizio Millenotti; le luci di Gigi Saccomandi; le coreografie di Noa Wertheim; le musiche originali di Ran Bagno. Lo spettacolo è una produzione del Teatro Stabile di Napoli.

La traduzione per chi, come chi scrive, non conosce il russo può essere condivisa come “bella” per la sua efficacia che non snatura il testo letterario, non lo forza ma ne esalta la modernità, il linguaggio quotidiano; anche nella declinazione napoletana, scelta del regista, si avverte un intreccio non sempre percettibile che diventa non una semplice contaminazione, o giustapposizione o, ancora, un collage, quanto un’assonanza, un richiamo, una dissolvenza armonica. La lingua come visione del pensiero sembra spiegare che la vicenda, anche se contestualizzata, può essere letta come metafora del dramma di una società attraversata dal cambiamento radicale, con vittime e nuovi vincitori, come ogni rivoluzione che si rispetti.

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sabato 7 novembre 2015

Anteprima "Animeland" Racconti tra manga, anime e cosplay, di Francesco Chiatante 13 novembre - Roma

Roma Fiction Fest 
Venerdì 13 novembre 2015
h. 20:00
c/o Cinema Adriano di Roma

Anteprima mondiale del documentario Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay, di Francesco Chiatante.

Ingresso gratuito fino a esaurimento posti previo ritiro coupon gratuito


Sarà presentato in anteprima mondiale - a ingresso gratuito fino a esaurimento posti - venerdí 13 novembre alle ore 20:00 presso il cinema Adriano di Roma, nell’ambito della nona edizione del Roma Fiction Fest, il documentario Animeland – Racconti tra manga, anime e cosplay, opera prima diretta da Francesco Chiatante. Alla proiezione sarà presente il regista, il cast e alcuni dei protagonisti intervistati. Il documentario, ideato e interamente realizzato in low budget dal regista Francesco Chiatante, che ne ha curato anche montaggio, fotografia e post produzione, si avvale delle musiche originali di Simone Martino.

Il documentario è un vero proprio viaggio tra cartoni animati giapponesi e non, manga, anime e cosplay, attraverso ricordi, aneddoti e sogni di personaggi degli ambiti più disparati il cui immaginario e la cui vita sono stati influenzati da fumetti e cartoni animati. Da Heidi a Goldrake, da Jeeg Robot a Dragonball e Naruto, passando per Holly e Benji, L’incantevole Creamy e Ken il guerriero, dalla fine degli anni Settanta è iniziata in Italia una vera e propria invasione “animata” giapponese. Animeland, più che un film è un “documento” che intende ricostruire e ripercorrere tutto quello che erano e sono poi diventati manga, anime e cosplay in Italia, segnando l’intero immaginario ‘pop’ delle generazioni degli ultimi quarant’anni con robot, maghette e orfanelli!

Numerosi gli intervistati nel film, dall’animatrice e mangaka Yoshiko Watanabe, già assistente di Osamu Tezuka, allo stilista Simone Legno alias Tokidoki, da cantanti come Caparezza, che nelle canzoni spesso introduce citazioni tratte da manga giapponesi, ad attori come Paola Cortellesi – che canta la sigla di un cartone animato della propria infanzia – e Valerio Mastandrea. Ma anche i racconti di Giorgio Maria Daviddi del Trio Medusa e una esclusiva intervista al misterioso cosplay Goldy. Registi italiani quali Maurizio Nichetti e Fausto Brizzi e registi stranieri come Shinya Tsukamoto e il Premio Oscar Michel Gondry, ma anche Masami Suda, animatore di cartoni animati quali Ken il guerriero, Kiss Me Licia e Yoichi Takahashi, autore di Holly e Benji. Tra i nomi italiani spiccano quelli dei giornalisti Luca Raffaelli, filo conduttore del racconto e di Vincenzo Mollica, ma c’è spazio anche per un sociologo, Marco Pellitteri, per un saggista come Fabio Bartoli e per la squadra dei Kappaboys, che per primi importarono i manga giapponesi in Italia.

"Ho sempre sognato  - sottolinea il regista - di raccontare i mondi di manga, anime e cosplay a modo mio. E quale idea migliore del farlo coinvolgendo tutti i miei "miti", creando un film da tutti i loro racconti? Con Animeland ho trovato il modo di poter contribuire a questi immaginari fantastici che hanno influenzato i ragazzi, per generazioni, da fine anni '70 ad oggi!"

IL REGISTA
Francesco Chiatante nasce a Taranto nel 1981, videomaker di cortometraggi, documentari, backstage e video. Studia all'Accademia di Belle Arti di Macerata “Teoria e Tecnica della Comunicazione Visiva Multimediale” e si specializza in “Arti Visive – Scenografia”. Approda a Roma nel 2007 per un Master in Effetti Speciali per il cinema. Negli ultimi anni ha lavorato per post-produzioni di film e fiction, collaborato come operatore video e montatore per una serie di progetti documentaristici prodotti e diretti da Franco Zeffirelli, diretto l'episodio 'Iride' del film indipendente a capitoli 'Amores' (Italia, 2013) e realizzato backstage dei film diretti da Ivano De Matteo 'Gli equilibristi' e 'I nostri ragazzi' (vincitore del Premio Miglior Backstage 2015 - Festival del Cinema Città di Spello) e della serie TV RAI ‘Il sistema’ diretta da Carmine Elia. Animeland - Racconti tra Manga, Anime e Cosplay, del 2015, è il suo esordio nel lungometraggio.

https://www.facebook.com/events/1022717591081678/

AS FILM FESTIVAL 2015 - III edizione

AS FILM FESTIVAL 2015
III edizione
UN FESTIVAL UGUALE AGLI ALTRI PERO’ DIVERSO
Roma - MAXXI Museo Nazionale delle arti del XXI secolo 
sabato 14 e domenica 15 novembre 2015
ingresso gratuito

Torna il festival internazionale di cinema ed arti visive
realizzato con la partecipazione attiva di giovani nella condizione autistica. Tra gli ospiti gli attori Stefano Fresi e Valentina Carnelutti

Si tiene il 14 e il 15 novembre prossimi - a ingresso gratuito fino ad esaurimento posti - la terza edizione di As FilmFestival, coordinato da Giuseppe Cacace e realizzato con la partecipazione attiva di giovani nella condizione autistica. Tante novità per la terza edizione di ASFF che si svolgerà sotto l'Alto Patrocinio del Parlamento Europeo e con il patrocinio del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e dell'ANG Agenzia Nazionale per i Giovani. Per il secondo anno consecutivo la locandina del festival è stata scelta tra le centinaia inviate da artisti che si riconoscono nella condizione autistica ed è risultata vincitrice la giovane artista Bianca Corradi. Tra gli ospiti previsti: l'attrice e regista Valentina Carnelutti (Squadra antimafia) già vincitrice con RECUIEM del premio ASFF e del premio del Pubblico per l'edizione 2014; l'attore e compositore Stefano Fresi (Noi e la Giulia, Smetto quando voglio), il giornalista Toti Naspri e lo staff de I Fantastici 15 la rivista di Verona (l'unica italiana sul modello del francese Le Papotin) curata da una redazione di giovani nella condizione autistica.

Il festival prevede una sezione competitiva, Punti di vista, ovvero il cinema come sguardo sulla realtà apre agli autori internazionali: in programma una selezione di 45 opere (25 internazionali e 20 italiane) selezionate tra i 1400 lavori giunti da 80 Paesi di tutto il mondo. Tra gli italiani LA SEDIA DI CARTONE di Marco Zuin, CHILD K di Vito Palumbo e Roberto De Feo e DUE PIEDI SINISTRI di Isabella Salvetti. Tra le opere internazionali si segnalano: THE CHUNK AND THE WHORE di Antoine Paley, YOUNAISY, del regista cubano Juan Pablo Daranas Molina, BEFORE WE LOSE di Cristhian Andrews.
La vetrina Ragionevolmente differenti dedicata al cinema come strumento per raccontare la condizione autistica prevede la proiezione di 20 lavori realizzati da autori internazionali: tra gli altri, in anteprima italiana, CIRCLES di Jesse Cramer e Micha Levin; THE ROUTINE di Dimitris Andjus; FOR THE LOVE OF DOGS di Tim O'Donnel; BUMBLEBEE di JENNA KANEL e GOD'S LAMB di Kees-Jan Mulder. Le mattinate del festival saranno dedicate ad ANIMATION NOW!, la vetrina dedicata ai cortometraggi d'animazione. Venti le opere selezionate tra le oltre 400 giunte da tutto il mondo. Tra gli italiani, RITORNELLO D'AMORE di Silvia Capitta.
iere è il titolo della vetrina "Cinema per raccontare il sociale". Tra le opere in programma: FEBRUARY, del regista afghano Siar Sedig, SCHLEIRHAFT di Tim Ellrich e NAMNALA di Nacho Solana.
ASFF 2015 apre anche al teatro con lo spettacolo EMOTICONS di Paolo Manganiello e Chiara Palumbo. Nato nell'ambito del progetto "Pegaso" di Viterbo, lo spettacolo vede in scena 15 ragazzi nella condizione autistica.

AS Film Festival è un progetto ideato e realizzato da Not-Equal con la collaborazione di FONDAZIONE MAXXI, CONFRONTI, GRUPPO ASPERGER LAZIO ONLUS. La Sindrome di Asperger (SA, o AS, dall'inglese Asperger Syndrome) è collocata, come l'autismo, tra i Disturbi Pervasivi delle Sviluppo ma si discute tuttora, se essa debba considerarsi una forma mite di autismo (ad alto funzionamento o con bisogno di supporto non intensivo), o se costituisca un disturbo a sé stante. Poco nota in Italia, è sempre più rappresentata al cinema e in televisione: personaggi con Sindrome di AS sono lo Sherlock televisivo e il matematico Alan Tourig del film The imitation game, entrambi interpretati da Benedict Cumberbatch, o la protagonista della serie The Bridge interpretata da Diane Kruger. Si parla di Asperger anche nelle serie tv Silicon Valley, Community, Parenthood, Boston Legal, The Big Bang Theory e Grey's Anatomy. Inoltre sono diversi i volti noti che hanno dichiarato di avere la sindrome di Asperger, tra gli altri gli attori Dan Aykroyd (The Blues Brothers, Ghostbusters) e Daryl Hannah (Kill Bill) e la cantante Susan Boyle.

Al link https://vimeo.com/119949949 è possibile vedere un video che racconta 'il meglio di' della seconda edizione.

Per informazioni: www.asfilmfestival.org
www.facebook.com/Asfilmfestival