Dal 13 marzo al 1° aprile. L’immaginario cinematografico deborda. La rappresentazione teatrale fa da sfondo ad una lettura che si anima con scenografie e costumi ricostruiti filologicamente. Qualche modernizzazione nella recitazione, dalla gestualità al linguaggio, sottrae fascino alla protagonista. Il finale aggiunge un tocco di originalità.
Produzione Gli Ipocriti presenta
Francesca Inaudi e Lorenzo Lavia in
COLAZIONE DA TIFFANY
di Truman Capote
adattamento Samuel Adamson
traduzione Fabrizia Pompilio
con Mauro Marino, Flavio Bonacci, Anna Zapparoli, Vincenzo Ferrera, Giulio Federico Janni, Cristina Maccà, Ippolita Baldini, Riccardo Floris, Pietro Masotti
scene Gianni Carluccio
costumi Alessandro Lai
regia Piero Maccarinelli
Raccontare la vicenda di Holly e il dramma di innamorarsi di una creatura selvatica è scelta ardita se pesa un film simbolo, mito di un’epoca. Per tutti “Colazione da Tiffany” è il film di Blake Edwards con l’indimenticabile Audrey Hepburn e George Peppard…Peccato che il libro, un breve romanzo gioiello di Truman Capote, sia rimasto per molto tempo in disparte. Chi non ha visto il film? Ma quanti non hanno letto il libro e forse non ne conoscono neppure l’autore! A Samuel Adamson, che ne ha tratto una riduzione teatrale, va per me soprattutto questo merito, la riscoperta di un classico del ‘900.
Holly Goligthly è una cover girl americana arrivata a New York un po’ lolita cresciuta, un po’ traviata; intorno a lei ruotano i molti personaggi del mondo un po’ ridicolo e patinato dell’East End newyorkese: un agente di Hollywood, un mafioso italoamericano, il proprietario di un bar, ricchi diplomatici brasiliani. Interessante al di là dell’affresco americano, ottimamente ricostruito nelle scenografie e nei costumi, c’è la storia degli amori infelici, quelli – forse la maggior parte – nei quali la domanda non si incontra con l’offerta. Questo è il genere nel quale l’oggetto dell’amore è una creatura selvatica che a teatro, più che nel cinema, dove prevale l’interesse – forse non maligno ma di occhio di mondo – non si può legare. Come non ricordare la Violetta di Verdi o Odette de Crecy di un “Amour de Swann” di Proust che fa dire nelle ultime battute del libro al protagonista “ho amato e perso il mio tempo per una donna che non era per me, che non era del mio genere”?
La recensione integrale su Saltinaria.it
Nessun commento:
Posta un commento