sabato 16 giugno 2012

Oscar Wilde, il clown dal cuore infranto - Teatro Filodrammatici (Milano)

Ilaria Guidantoni, Lunedì 2 Aprile 2012

Dal 27 marzo al 5 aprile è in scena al Teatro Filodrammatici di Milano lo spettacolo “Oscar Wilde, il clown dal cuore infranto” per la regia di Simone Toni, produzione Gli Incauti. Una regia pulita, schietta, appoggiata sulla profondità del testo letterario di Oscar Wilde, senza eccesso di citazioni e senza troppa ricostruzione macchiettistica. Oscar Wilde è tutto nelle sue parole prolungate nei gesti del suo essere dandy, dove l’estetica cede il terreno alla bellezza del dolore. Un regista capace di leggere nell’animo dell’autore senza lasciarsi abbagliare dal costume e non indugiando all’estetismo. Bravi gli interpreti, davvero notevole il protagonista.

Produzione Gli Incauti presenta
in collaborazione con il Teatro Consorziale di Budrio
OSCAR WILDE, IL CLOWN DAL CUORE INFRANTO
adattamento teatrale e regia di Simone Toni
con Fausto Cabra, Federica Castellini, Andrea Luini, Stefano Moretti
assistente alla regia Diana Manea
scene e costumi di Alessandra Gabriela Baldoni
disegno luci di Fiammetta Baldiserri
musiche originali di Carlo Borsari

La scena è già aperta in sala agli spettatori che arrivano e consente di familiarizzare con il protagonista della vicenda, una consuetudine per lo stile del Filodrammatici.
La scenografia è un piano inclinato con una panca per letto e uno scrittorio; fa da sfondo una porta di ferro a griglia e una finestrella sospesa che un riflettore illumina a guisa del sole. La restituzione è immediata, scarna e grigia come la tinta dominante e lo sconforto di una cella. Il protagonista è raggomitolato sulla panca che funge da giaciglio e di tanto in tanto scrive malinconico. L’angustia di questo ambiente che delimita l’esperienza choccante e spartiacque nella vita dello scrittore inglese, due anni di lavori forzati in seguito alla condanna per sodomia, domina inalterata tutto lo spettacolo. Salgono e scendono da questo piccolo palco, come fantasmi dei sogni e degli incubi del giovane Oscar, il suo avvocato e il suo amico-nemico al quale sono dedicate le lettere. La scenografia diventa poi teatro del processo con dei banconi bianchi e fantocci al posto di attori, mossi e ‘parlati’ dagli stessi due personaggi che affiancano il protagonista. Sono il padre dell’amico amato, l’accusatore e i giudici. Fantocci appunto metaforicamente che non meritano di essere incarnati. L’alta corte invece è rappresentata da una donna con parrucca che scende dalla balconata solo per pronunziare la sentenza definitiva, incatenare il poeta come un cane, al collo, e dipingergli la faccia con polvere grassa bianca e grigia riducendolo ad una maschera. “Siamo i buffoni del dolore, i clown dal cuore infranto”, dirà verso la fine Oscar Wilde.
Il protagonista, scalzo e con una tenuta grigia da carcerato, giocherà con oggetti – il cappello, il bastone, un fazzoletto e un cappotto stravagante – per entrare nella parte del dandy di successo. La sua voce riempie lo spazio modulando le emozioni e a volte chiudendo gli occhi la scena resta ed è sufficiente a immaginarne l’interpretazione.

La recensione integrale su Saltinaria.it


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