mercoledì 13 giugno 2012

Erinnerung - Teatro Due (Roma)

Recensione a cura di Ilaria Guidantoni 
Giovedì 12 Gennaio 2012

Dal 10 al 29 gennaio. Due monologhi, due punti di vista, opposti e complementari ad un tempo, rispettivamente quello del carceriere involontario e della vittima; ruoli dolorosi e per certi aspetti interscambiabili e interscambiati, tanto che si potrebbero leggere come due atti di una stessa pièce. Un modo nuovo di leggere la storia dei campi di concentramento, con una capacità di costruire lo svolgimento da parte del regista certamente originale. Grande afflato nel primo monologo.


Studio 12, diretto da Isabella Peroni, presenta
al Teatro Due Roma - teatro stabile d'essai
ERINNERUNG
La sorvegliante e Il compleanno
scritto e diretto da Gianni Guardigli
con Michela Martini, Dorotea Aslanidis
scene e costumi Claudia Calvaresi
musiche Claudio Junior Bielli
luci Roberto Tamburoni

Erinnerung, ricordo e anche memoria, è la rievocazione di un'esperienza traumatica, quella del campo di concentramento, da qualsiasi parte sia vissuta: il regista ce lo dice chiaramente. Il 27 Gennaio 1945 furono aperti i cancelli di Auschwitz, campo di concentramento e di sterminio costruito dai nazisti, dove persero la vita oltre un milione di ebrei, tra cui molte migliaia di ebrei italiani. Dal quel momento fu chiaro che qualcosa sarebbe cambiato per sempre… o forse no perché la coazione a ripetere è uno dei peccati più ricorrenti dell'umanità.
I due monologhi sono costruiti allo specchio, con la confessione di due anziane signore, ad un interlocutore che resta muto.

La sorvegliante
La prima scena si apre in una stanza relativamente spoglia con una stiratrice che, pensando ad alta voce, rievoca e si confessa. Gradualmente si capisce che era una guardiana in un campo di lavoro e nel suo farneticare con un testo volutamente povero, ripetitivo, ossessivo come un mantra, approfondisce a poco a poco l'orrore. Brava l'interprete in un ruolo di intensità drammatica, quasi sussurrato. Il dolore non necessariamente dev'essere urlato, sembra dire questa elegante e insolita regia, per i tempi che corrono. In fondo l'impianto dello spettacolo è molto classico e composto.
La sorvegliante ripete, come a giustificarsi, frasi brevi, lasciando avvertire il suo essere stata disturbata, infastidita quasi fisicamente dai prigionieri, che chiama "bastardi", laceri in quegli abiti grigi grinzosi e troppo grandi. Risente lo sguardo pungente, feroce, di occhi che la guardano e lainquisiscono che si sogna ancora di notte. Ad un certo punto nel suo parlare pronuncia una parola, giudice, e si capisce che la confessione è davanti ad un tribunale. Così emerge il dramma di chi gioca nel ruolo, non scelto, di carceriere, in quanto vittima, di una famiglia disagiata, spinta a servire in un campo dove cercano donne. In fondo lei si è massacrata di lavoro per pochi spiccioli, per essere solidale con la propria madre malata (che tossisce e sputa), sorella, con i bambini più piccoli di casa, facendo un lavoro onesto, la sorvegliante, non la prostituta.

La recensione integrale su Saltinaria.it




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