giovedì 14 giugno 2012

Due mariti e un matrimonio - Teatro de’ Servi (Roma)

Recensione a cura di Ilaria Guidantoni Mercoledì 8 febbraio 2012

Dal 24 gennaio al 12 febbraio. Una commedia brillante, con colpi di scena ed un risvolto psicologico sottile, qualche volta posto in secondo piano dall’interpretazione provocante e frizzante delle protagoniste femminili. L’amore ai tempi della crisi della coppia e non solo, dei dubbi, del post femminismo dove l’uomo resta al centro dell’universo femminile, sempre, ossessivamente, tra sogno e incubo.

La Bilancia Produzioni presenta
DUE MARITI E UN MATRIMONIO
con Ussi Alzati (Luisa) - Pia Engleberth (Gianna), Alice Mangione (Mimì), Alessandra Ierse (Gisella), Federico Bonaconza (Rodolfo)
scritto e diretto da Roberto Marafante
voce Awali Karamouwa
scena Andrea Dell’Orto
costumi Simona De Castro e Annalisa Barcella
musiche Paolo Censi 
aiuto regia Giuliana Kossuth

La veste è quella di una commedia brillante con piccoli equivoci e grandi colpi di scena, non privi di trovate argute. Il milieu è nostrano, nonostante qualche ammiccamento al genere americano, a cominciare dai costumi e dalla costruzione, dal linguaggio e soprattutto dall’atteggiamento, quei comportamenti minuti che definiscono i caratteri. Tutto è tradotto perfino al dettaglio, come lo scivolare nel dialetto bergamasco della conversazione della promessa sposa con la sorella, nel corso di un bisticcio. E’ la provincia, pettegola, acuta, con qualche voglia di evasione sotto traccia, mentre il matrimonio resta sempre la vocazione, autentica o indotta, di ogni donna, in barba all’emancipazione e alla professione di rigore, sia essa ribelle o salutista.
Di mariti in questo caso ce ne sono addirittura due, anche se il matrimonio non può che essere uno, come nelle migliori tradizioni.
La scena rimarrà fissa, come a caricare di tensione l’azione dalla quale non si riesce ad uscire, in qualche modo prigionieri della casa di una donna, quale metafora dell’essere donna. Vuoi o non vuoi, comunque si interpreti il femminile, resta un vestito su misura del quale è difficile liberarsi e la tenuta comprende l’uomo come coestensione, desiderio, ossessione; troppo spesso biasimato, finanche odiato, ma sempre invocato. Che noia la vita senza gli uomini, è la morale della chiusura dello spettacolo!

La recensione integrale su Saltinaria.it

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