I suoi sfondi sono ambientazioni cittadine, per lo più interni e visioni che ricordano la costa atlantica, il mare del nord, gli aspetti più brumosi della Francia. Impossibile non seguire l’evoluzione del cappello, l’invenzione inglese della tuba, il vezzo delle signore di addobbarli con nastri piume e fiori; le acconciature che ad un certo punto non lasciarono più ciocche libere ma fermarono e raccolsero i capelli nei cappelli, nascondendo le forcine, con un effetto molto composto. Nei suoi dipinti traspare l’amore e l’attenzione alle stoffe e alle loro caratteristiche e la trasformazione dei vestiti: il primo tailleur per donna inventato in Inghilterra con gonna, giacca e camicia il cui nome indica quello del sarto appunto, perché mutuato dal guardaroba maschile. C’è posto anche per il cul de Paris, quel modo di sollevare il vestito posteriormente con una sorta di tournure, che impediva alle dame di sedersi ma le rendeva ammiccanti e oggi, diremmo, un tantino ridicole. C’è naturalmente anche la serie dei ritratti e della compagna che amò e il ritratto di un incontro di artisti con le loro donne che è anche un’istantanea del momento. Forse la sala più suggestiva è il ciclo del Figliol Prodigo con un’interpretazione rivisitata, contemporanea e autobiografica. Così si sentì infatti James (nome inglesizzato per ragioni di immagine) che si avvicinò gradualmente al sentimento religioso.
La mostra è certamente un’occasione per preziosa per immergersi in un’atmosfera d’antan, leggerne le tinte, e scoprire un talento non così noto.
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