Scritto da Ilaria Guidantoni Domenica, 25 Ottobre 2015
Il laboratorio di teatro di Annarita Gullaci al Calabbria Teatro Festival di Castrovillari, un’occasione per formare spettatori consapevoli prima che attori in erba. Per questa attrice e insegnante il primo passo è acquisire la curiosità per il teatro come un’opportunità di formazione del sé a cominciare dalla conoscenza del proprio corpo e non tanto coltivare il sogno di calcare le scene un domani.
Come nasce l’idea di un laboratorio in un festival non dedicato ai bambini?
«Per quanto riguarda il mio laboratorio il teatro è prima di tutto un gioco. Il bambino è in primo luogo un giocatore: gioca spontaneamente al gioco del teatro, se si pensa ad esempio quando s’immedesima in oggetti, animali e personaggi… In questo gioco istintivo s’inserisce la mia “esperienza-presenza” che è quella di offrire ai bambini strumenti che li educhino all’ascolto, alla concentrazione, al ritmo, al riconoscimento delle emozioni, all’espressione del corpo, al rispetto dell’altro.»
Com’è nata la collaborazione con il festival?
«Quando Rosy Parrotta, in qualità di direttore artistico, mi ha proposto di dirigere un laboratorio che avesse come tematica quella del viaggio, mi si è illuminato lo sguardo. Mi piace considerare i miei laboratori come se fossero dei veri e propri viaggi in cui io e i bambini, insieme, esploriamo nuovi linguaggi espressivi, capaci di stuzzicare la nostra immaginazione e fantasia.»
Qual è l’elemento fondamentale che ti accompagna in questi laboratori?
«Compagna di viaggio è la musica, sempre. La musica non conosce confini: respira, colora il gesto, riempie i silenzi, crea un’ambiente, regala un’emozione, influenza il ritmo del corpo, vive ed è pura poesia. Avendo a disposizione pochi pomeriggi ho pensato di soffermarmi su quelli che a me piace considerare i primi territori da esplorare all’interno del gioco del teatro SPAZIO CORPO VOCE. Partendo da questi, il viaggio – tema di quest’anno - ha consentito ai bambini di toccare in ogni incontro, un tema diverso ma preciso, a cui ispirarsi (semini magici, folletti, marionette, fiducia, combattimento) per trasformare in azioni teatrali il loro pensiero creativo.»
Ho avuto modo, oltre che di apprezzare l’inserimento “strutturale” e non emozionale della musica, di osservare anche l’enfasi messa sulla gestualità più che sulla parola.
«Per quanto riguarda il lavoro sul gesto, un mio caro insegnante, Jean Paul Denizon ripeteva spesso che “i nostri pensieri sono fatti di carne”, intendeva dire che noi pensiamo e comunichiamo soprattutto con il nostro corpo. Insegno dunque ai miei bambini che il nostro corpo non serve solo per i movimenti funzionali ma è soprattutto uno strumento per comunicare ed esprimere emozioni, per relazionarsi nello spazio, per danzare in modo creativo e per “raccontare” e affermare la propria unicità espressiva. Una volta superata la fase di apprendimento e di allenamento, il nostro corpo sviluppa una memoria interna-autonoma. E in ogni momento si può attingere a questa grandissima risorsa.»
L'intervista integrale su Saltinaria.it
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