martedì 17 marzo 2015

Parole ad un caffè…con Filippo Gili: raccontare, sentire, testimoniare, senza la pretesa di spiegare né risolvere

Ilaria Guidantoni, 14 Marzo 2015

Il primo incontro è stato sul palcoscenico del Teatro Elfo Puccini a Milano per lo spettacolo “Prima di andar via” del quale è autore e interprete principale, un ruolo che mi è parso cucito addosso al personaggio tanto che alla fine non riuscivo a distinguere l’attore dal protagonista della vicenda. Soprattutto il testo mi ha colpita, l’originalità di affrontare il tema dell’”addio tra vivi”, della morte scelta - ma non si tratta banalmente di suicidio - e l’uso della parola. Ascoltare Filippo Gili è ritrovare la parola, la sua carnalità, la voce come verso umano, l’originario pensare dell’uomo che sussurra, grida, declama e nella lingua trova una visione del pensare.
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Cominciamo la nostra conversazione frugando nei nostri cammini: il plurale è d’obbligo perché Filippo Gili ti costringe a metterti nella conversazione, senza la vanità del personaggio che si fa intervistare e aspetta le domande, né la passività discreta di chi ascolta e replica dentro un copione. Ad un certo punto non sapevo più se l’intervistata fossi io e se il testo del quale stavamo parlando fosse la nostra conversazione o uno spettacolo già compiuto.

Recuperando l’origine del nostro incontro gli ho chiesto quale sia stata la prima immagine dalla quale è nato “Prima di andar via” e poi come un autore dall’alfa all’omega, che crea il soggetto, scrive i dialoghi fino talora ad essere regista dell’opera, compia questo percorso.
«Ho un rapporto sensoriale con la nascita di “Prima di andar via”, ricordo esattamente dov’ero quando mi venne in mente di un uomo che comunicava alla famiglia di volersi suicidare. La prima immagine perciò non è creativa, ma direi ambientale. Il resto, forte di una sensazione felice, è stato semplice. Mi sono messo direttamente a scrivere la sceneggiatura. Scrivere teatro o cinema per me non è nient’altro che immaginare quello che vedo e trascriverlo. La definirei una precisa immaginazione. E nel caso di “Prima di andar via” - oltre a ragioni psicanalitiche che potrei solo intuire (amore e vendetta fanno il paio come Castore e Polluce) - ho voluto creare il pretesto per aggiornare un’esperienza perduta, quella dell’addio fra vivi.»

Da quell'idea nasce un seguito. Cosa c'era in sospeso?
«L’energia petrolifera della morte e la sua connessione con l’energia atomica delle relazioni familiari. Se Edipo Re e Amleto sono le tragedie ancora più rappresentate è perché la loro ossatura si fonda sulla struttura di un dramma familiare. In sospeso c’è il bisogno di mettere in rilievo la radice caotica - in senso etimologico - della famiglia, la sua demonicità. “Dall’altro di una fredda torre” scaraventa in un Erebo esplosivo la mente di due fratelli costretti a scegliere se salvare la vita a un padre o a una madre. La mia spinta nasce dal dimostrare che l’archetipo, toccando il postmoderno, piega e disarticola le strutture foderate delle idee e del linguaggio. Buca l’organizzazione collettivista del rapporto con la realtà facendo indietreggiare l’Io ben prima del dolore, ma nel Kaos che quel dolore l’ha prodotto.»

L'intervista integrale su Saltinaria.it

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