lunedì 30 marzo 2015

“Ghadi” di Amin Dora. Festival del cinema francofono di Roma

Ilaria Guidantoni, 28 Marzo 2015

VI edizione Festival del cinema francofono

A Roma arriva il festival del cinema francofono, con una dimensione internazionale simbolica.

24-31 marzo 2015
A Roma al Centre Culturel Français Saint-Louis
Largo Toniolo, 22

La sesta edizione del Francofilm-festival del film francofono di Roma, ideato e organizzato dall’Institut français - Centre Saint-Louis è stata inaugurata con la proiezione del film Timbuktu di Abderrahmane Sissako (già recensito su queste pagine dato che l’avevo visto a Tunisi), pluripremiato ai César 2015 (7 César tra i quali miglior film e migliore regista), nominato agli Oscars, premiato al Fespaco (Burkina Faso) nonché Bayard d’Or du FIFF (Festival internazionale del film francofono di Namur - Belgio), che patrocina per la prima volta il Francofilm. Il Festival è in collaborazione con le Ambasciate e rappresentanze di paesi membri dell'Organizzazione Internazionale della Francofonia; ed è organizzato con il sostegno di Air France, IF Cinema, ed è per la prima volta patrocinato dal FIFF Festival International du Film Francophone de Namur che festeggerà la sua 30esima edizione dal 2 al 9 ottobre 2015. Tutti i film sono in versione originale e sottotitolati in italiano. L’ingresso è libero fino ad esaurimento posti.

Mercoledì 25 Marzo - ore 18.30
Auditorium, largo Toniolo 22

LIBANO

Ghadi 
di Amin Dora

Un piccolo film in un’ambientazione quasi teatrale con inquadrature strette, senza panoramiche. Lo sguardo del regista ci costringe a vivere la storia con il protagonista: una storia di amore familiare e soprattutto un inno al valore della paternità culturale e morale che alla fine vince sui pregiudizi di una società ottusa e pettegola. La prospettiva è singolarmente circoscritta al mondo cristiano con l’esclusione di qualsiasi contaminazione, sorprendente per chi frequenta il mondo arabo che, pur nello scontro, è certamente più contaminato dalla diversità rispetto all’Europa. Eppure, al di là di alcuni segni di riferimento iconografici che ci dicono che si è nella città cristiana, tutto è decisamente arabo. C’è una smania di autodefinizione, di recupero dell’identità e insieme di fusione. Iper-realismo non accostabile al neorealismo italiano, con qualche nota naïf e talora un indugiare su alcuni particolari di colore che lo rendono credibile come il profilo degli attori. Su tutto regna sovrana la musica che diventa una metafora: il linguaggio delle emozioni e delle passioni trionfa per efficacia.

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