7 am |
Marco Tamburro apre di un nuovo un capitolo milanese, sceglie l’olio su tela, conserva il bianco e nero dato come un colore tra gli altri con inserti ampi di rosso che talora attraversano la tela trascinandola nella narrazione. Sono istantanee in movimento, una pennellata che è in presa diretta. L’irrequietudine trapela dagli interni dove la poltrona rossa e lo studio, ma anche la camera da letto, sono punti fermi – e mobili del proprio mondo interiore – che si affacciano a strapiombo sulla città. Il confine tra interni domestici e strade metropolitane si annulla o meglio si fluidifica e si intreccia perché non assaporiamo calore, pace e intimità in quegli ambienti strattonati dalla vita. La figura umana è d’un côté anche quando è al centro, quasi esclusivamente femminile, di spalle, discreta eppure ingombrante.
vento freddo |
Abbiamo incontrato Marco Tamburro a Brera, nella Galleria AM Antonio Miniaci, uno spazio internazionale dove l’artista non è nuovo. A Milano non è una prima, ma un ritorno, e la nostra curiosità è sul perché di questa scelta che da qualche mese lo ha portato di nuovo al nord della Capitale, mesi di grande attività e concentrazione ci ha raccontato. “E’ stata un’esigenza che mi è cresciuta dentro, diventando ad un certo momento irrinunciabile. Sono così, non mi spavento, quando sento il bisogno di mettermi in cammino, prendo i miei attrezzi e parto”.
Una necessità legata ad un’occasione di lavoro, alla vita personale? Con una certa reticenza ci dice “entrambe le cose, le dimensioni sono intrecciate”.
niente di nuovo |
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