Il viaggio continua con Raffaele Elio Ferraro...
Proprio in questi giorni ripensando alla nostra
chiacchierata Raffaele Elio Ferraro mi ha detto che Ferragamo è stato il suo
trampolino di lancio insieme alla città gigliata.
«Firenze è stata per anni e rimane tutt’ora la
mia base principale in Italia, anche se nel corso degli anni ho coltivato una particolare
spinta per la vitalità dell’Oriente, trascorrendo quattro anni in Giappone,
dove ho assimilato un’enorme quantità di nuove suggestioni.
Lì ho infatti avuto la straordinaria opportunità
di creare delle collezioni puramente tessili per uno dei più antichi “editori”
locali, con una storia che risale alla metà del ‘700, che mi ha dato la
possibilità di conoscere l’intero Paese, realizzando le mie creazioni in una
notevole quantità di laboratori artigianali sparsi per tutto il suo territorio,
apprendendo le antiche quanto svariate tecniche di tessitura e maturando sempre
più la convinzione che la moda sia arte e artigianato insieme, prima che semplice
prodotto.»
Sempre in viaggio l’ho raggiunto a Dubai dov’è
appena sbarcato.
«Non dimentico il Medioriente e soprattutto il
Maghreb, che resta un’area geografica che amo profondamente ma nel presente c’è
indubbiamente Dubai, una base di lavoro che vedo come una città proiettata nel
futuro, esprimendo quindi un unico quanto straordinario slancio verso il domani.
E’ questo l’ossigeno che mi manca in Europa,
ripiegata purtroppo sul proprio passato, anche se certamente glorioso.»
Quando e dove torni in Italia?
«Sarò fra Trapani, Palermo (dove come sai ha sede
l’head-quarter del mio ultimo progetto) e naturalmente Firenze.
Oggi diresti che ti appartiene più l’essere stilista
o collezionista di vintage e
cosa è nato prima?
«Sicuramente lo stilista, anche se le due
attività sono idealmente legate per la mia concezione della moda che è
recuperare il passato quale fonte di ispirazione, ma proiettando avanti il
senso della tradizione.
Il concetto di vintage, come ti ho
raccontato in una recente intervista per Saltinaria.it, ormai abusato e
maltrattato, assimilato soprattutto all’usato (spesso non sempre di qualità), è
invece per me come un vino d’annata che migliora nel tempo perché esprime
gradualmente tutte le sue qualità affinandole, senza invecchiare o prima
dell’invecchiamento.
Il mio lavoro creativo è in certo modo un grande
archivio che ripropongo traendo spunto da quello che ho raccolto dalle mie
ricerche intorno al mondo.»
Nell’estate del 2008 a Milano apre uno spazio che
è non solo una boutique ma anche una galleria, dove rivivono i più importanti
marchi italiani ed internazionali, che rappresentano la storia della moda e del
design del secolo appena trascorso; ultimo, dopo l’esperienza di Firenze e
Londra, con un esclusivo corner all'interno di Selfridges.
Cosa hai raccolto?
«La mia Collezione parte dagli anni Trenta per
arrivare agli anni Ottanta, inclusi gli articoli di arredamento, oltre che naturalmente
abiti ed accessori.
Da subito, ho potuto costatare che tutti i grandi
brands italiani ed internazionali si ispirino al vintage, annoverando immediatamente i loro design-studios
tra i più fedeli ed assidui clienti.
Ho avuto, tra l’altro, la grande soddisfazione di
“fornire” oltre 100 pezzi di Gucci alla stessa Gucci, dal momento che Tom Ford
ha deciso di costituire il Museo della Maison, nata nel 1929.»
Cosa ti affascina del mondo del vintage?
«Sicuramente la qualità nella manifattura di
ieri, soprattutto assistendo alla crescente serialità nel lusso di oggi.
Per me la ricercatezza risiede infatti
principalmente nell’unicità; è sicuramente questa la mia concezione del
“lusso”! La moda è una “visione” che si modella per la persona e sulla individualità
della persona stessa.
Non può esistere un’ Alta Moda che va di moda.»
Hai dei maestri?
«Sicuramente Cristobal
Balenciaga, che ritengo “genio assoluto”, ma se vogliamo riferirci ai
nostri giorni, ho una particolare ammirazione per Thierry Mugler, che all’apice della sua gloriosa carriera ha avuto
il coraggio di cedere il passo, quando ha ritenuto giunto il momento di farlo.
Per l’avanguardia, e quindi i giapponesi in
primis, mi affascina enormemente la visionaria creatività di Rei Kawakubo, fondatrice del marchio Comme des Garçons.»
Nella tua ultima creazione di moda c’è una
particolare ispirazione tunisina che rappresenta il tuo orizzonte attuale?
«La Tunisia è stato il punto di partenza, oltre a
un tributo verso chi ha fortemente voluto questo bellissimo progetto, che spero
si evolverà con una serie di collezioni ispirate ai diversi Paesi. Mi riferisco
ai miei amici e partners professionali – Neyla e Chekib Nouira.
La cifra della collezione resta il viaggio nel
costume tradizionale che è quello che amo reinterpretare, ritenendo di
esprimermi al meglio.»
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