mercoledì 7 settembre 2016


Il viaggio continua con Raffaele Elio Ferraro...




Proprio in questi giorni ripensando alla nostra chiacchierata Raffaele Elio Ferraro mi ha detto che Ferragamo è stato il suo trampolino di lancio insieme alla città gigliata.
«Firenze è stata per anni e rimane tutt’ora la mia base principale in Italia, anche se nel corso degli anni ho coltivato una particolare spinta per la vitalità dell’Oriente, trascorrendo quattro anni in Giappone, dove ho assimilato un’enorme quantità di nuove suggestioni.
Lì ho infatti avuto la straordinaria opportunità di creare delle collezioni puramente tessili per uno dei più antichi “editori” locali, con una storia che risale alla metà del ‘700, che mi ha dato la possibilità di conoscere l’intero Paese, realizzando le mie creazioni in una notevole quantità di laboratori artigianali sparsi per tutto il suo territorio, apprendendo le antiche quanto svariate tecniche di tessitura e maturando sempre più la convinzione che la moda sia arte e artigianato insieme, prima che semplice prodotto.»
Sempre in viaggio l’ho raggiunto a Dubai dov’è appena sbarcato.
«Non dimentico il Medioriente e soprattutto il Maghreb, che resta un’area geografica che amo profondamente ma nel presente c’è indubbiamente Dubai, una base di lavoro che vedo come una città proiettata nel futuro, esprimendo quindi un unico quanto straordinario slancio verso il domani.
E’ questo l’ossigeno che mi manca in Europa, ripiegata purtroppo sul proprio passato, anche se certamente glorioso.»
Quando e dove torni in Italia?
«Sarò fra Trapani, Palermo (dove come sai ha sede l’head-quarter del mio ultimo progetto) e naturalmente Firenze.
Ma dire che sono stanziale è una cosa che proprio non mi appartiene.»
Oggi diresti che ti appartiene più l’essere stilista o collezionista di vintage e cosa è nato prima?
«Sicuramente lo stilista, anche se le due attività sono idealmente legate per la mia concezione della moda che è recuperare il passato quale fonte di ispirazione, ma proiettando avanti il senso della tradizione.
Il concetto di vintage, come ti ho raccontato in una recente intervista per Saltinaria.it, ormai abusato e maltrattato, assimilato soprattutto all’usato (spesso non sempre di qualità), è invece per me come un vino d’annata che migliora nel tempo perché esprime gradualmente tutte le sue qualità affinandole, senza invecchiare o prima dell’invecchiamento.
Il mio lavoro creativo è in certo modo un grande archivio che ripropongo traendo spunto da quello che ho raccolto dalle mie ricerche intorno al mondo.»
Nell’estate del 2008 a Milano apre uno spazio che è non solo una boutique ma anche una galleria, dove rivivono i più importanti marchi italiani ed internazionali, che rappresentano la storia della moda e del design del secolo appena trascorso; ultimo, dopo l’esperienza di Firenze e Londra, con un esclusivo corner all'interno di Selfridges.
Cosa hai raccolto?
«La mia Collezione parte dagli anni Trenta per arrivare agli anni Ottanta, inclusi gli articoli di arredamento, oltre che naturalmente abiti ed accessori.
Da subito, ho potuto costatare che tutti i grandi brands italiani ed internazionali si ispirino al vintage, annoverando immediatamente i loro design-studios tra i più fedeli ed assidui clienti.
Ho avuto, tra l’altro, la grande soddisfazione di “fornire” oltre 100 pezzi di Gucci alla stessa Gucci, dal momento che Tom Ford ha deciso di costituire il Museo della Maison, nata nel 1929.»
Cosa ti affascina del mondo del vintage?
«Sicuramente la qualità nella manifattura di ieri, soprattutto assistendo alla crescente serialità nel lusso di oggi.
Per me la ricercatezza risiede infatti principalmente nell’unicità; è sicuramente questa la mia concezione del “lusso”! La moda è una “visione” che si modella per la persona e sulla individualità della persona stessa.
Non può esistere un’ Alta Moda che va di moda.»
Hai dei maestri?
«Sicuramente Cristobal Balenciaga, che ritengo “genio assoluto”, ma se vogliamo riferirci ai nostri giorni, ho una particolare ammirazione per Thierry Mugler, che all’apice della sua gloriosa carriera ha avuto il coraggio di cedere il passo, quando ha ritenuto giunto il momento di farlo.
Per l’avanguardia, e quindi i giapponesi in primis, mi affascina enormemente la visionaria creatività di Rei Kawakubo, fondatrice del marchio Comme des Garçons

Nella tua ultima creazione di moda c’è una particolare ispirazione tunisina che rappresenta il tuo orizzonte attuale?
«La Tunisia è stato il punto di partenza, oltre a un tributo verso chi ha fortemente voluto questo bellissimo progetto, che spero si evolverà con una serie di collezioni ispirate ai diversi Paesi. Mi riferisco ai miei amici e partners professionali – Neyla e Chekib Nouira.


La cifra della collezione resta il viaggio nel costume tradizionale che è quello che amo reinterpretare, ritenendo di esprimermi al meglio.»

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