mercoledì 15 maggio 2013

Giorgio Di Noto - Rivolte arabe: virtualità ed emozioni


Martedì, 14 Maggio 2013 Ilaria Guidantoni

Per chi è cresciuto con il mito del reporter, dell’immersione totale nel vissuto, nel racconto della realtà attraverso gli odori, la polvere, il contatto diretto, la contaminazione in genere, la virtualità è disorientante. Non sempre però rappresenta una scelta di comodo, una rinuncia, un segno di distacco. Può essere un altro modo per dirci del mondo che cambia, del fermento che attraversa realtà lontane che diventano così vicinissime e per di più in tempo reale. Non solo ma qualche volta la rete è capace di emozionare perché svela un altro modo di essere uomo. Anche lo smartphone è un oggetto che ci dice molto di chi siamo come in passato lo era la gestualità di intingere una penna nel calamaio e in fondo l’occhio e il fiuto di un fotografo e di un giornalista restano sempre il centro di quello che ci viene restituito.

Non è mai stato in Nord Africa. Una frase che mi ha lasciata perplessa e non poteva essere diversamente. Io che la rivolta tunisina l’ho vissuta quasi in diretta e mi chiedo se la mia partecipazione sia stata sufficiente a giustificare di scriverne. Eppure il progetto che ha visto il giovane Giorgio Di Noto vincitore del Premio Pesaresi 2012, assegnato nel 21 esimo Si Fest di Savignano sul Rubicone, racconta la primavera araba. E la racconta bene, perfino in modo emozionante. Non è un fotoreporter e soprattutto non è attratto da quel filone fotografico che presuppone l’istantaneità, il momento colto nel suo stesso passaggio. Ventiduenne, studente di filosofia, Giorgio Di Noto è un fotografo proiettato alla sperimentazione e alla mescolanza di linguaggi differenti. “Ho guardato e studiato su internet centinaia di video – racconta in un’intervista che ho letto - selezionando singoli fotogrammi che ho poi reinquadrato e fotografato dal monitor del mio computer con una macchina Polaroid”. Una ricerca durata diversi mesi, alla fine della quale è nata The Arab Revolt. Un lavoro composto da trenta scatti, che pongono l’accento sul ruolo determinate che hanno svolto i social network durante una delle pagine più significative della storia contemporanea. C’è nel suo lavoro la pazienza dell’emozione che si distilla in una grande raffinatezza, un modo diverso di sentire e in qualche modo, a mio parere, di superare la rete che va così veloce, impedendoci di dissolverci. Paradossalmente partendo dalla tecnologia come contenuto oltre che come mezzo compie un lavoro molto tradizionale, per quanto originale: l’arte del ritocco e la voglia di far dire delle cose ad un’immagine che è un ritrovato non del moderno Photoshop, ma quasi una dimensione ontologica del ritratto fin dalle sue origini.

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