Ilaria Guidantoni, 26 Aprile 2015
Una riscrittura prima che una rilettura, asciugata, depurata, spogliata di ogni ornamento che rischi il decorativismo. Filippo Gili si concentra sulla parola e gioca tutte le componenti dello spettacolo, assottigliandole ma affilandole allo stesso tempo, per tagliare la ridondanza. Il suo Amleto non è attualizzato; è attuale perché coglie l’universale e lo spettacolo scuote perché ha una forza interiore che non ha bisogno di vestirsi di potenza. La mano della regia, senza schiacciare l’interpretazione, guida e disegna la trama, plasma gli interpreti e si vede. Si riconosce senza tentennamenti. Ne esce un lavoro armonico con una parola molto lavorata, ruminata dagli attori, che alla fine convincono perché sono convinti. Hanno interiorizzato il messaggio e lo vivono nell’azione non frontale. Il pubblico è immerso nello spettacolo che si muove con continuità tra platea e palcoscenico, senza semplici incursioni, né ammiccamenti, e neppure strattonando lo spettatore.
Compagnia Stabile del Molise presenta
AMLETO
di William Shakespeare
con Daniele Pecci
regia e adattamento di Filippo Gili
con Pier Giorgio Bellocchio, Massimiliano Benvenuto, Silvia Benvenuto, Ermanno De Biagi, Pierpaolo De Mejo, Vincenzo De Michele, Pietro Faiella, Filippo Gili, Arcangelo Iannace, Liliana Massari, Daniele Pecci, Omar Sandrini, Antonio Serrano
scene Francesco Ghisu
costumi Daria Calvelli
disegno luci Giuseppe Filipponio
assistenti regia Ludovica Apollonj Ghetti, Francesca Bellucci
La regia di Gili non regala effetti speciali a nessun livello ma lascia una persistenza lunga nel gusto, armonica ed emotivamente forte. Elegante, composta perché non ha bisogno di trucchi da prestigiatore. Non vuole incantare nessuno e non dà risposte ma pone domande attraverso la credibilità dei personaggi. Nella scrittura che sfronda e taglia senza alterare la storia, c’è un’operazione di pulizia che rispetta il linguaggio classico e asseconda gli ‘alti’ e i ‘bassi’ della tragedia quale rappresentazione della vita che, rispetto alla commedia, più che distinguersi dal lato del genere, tragico rispetto al comico, nell’interpretazione “giliana” sale al di sopra della commedia per l’universalità della sua portata.
Per sottolineare questo compito, il dialogo dell’uomo con se stesso, il cuore della sua relazionalità nella famiglia, l’attaccamento terrestre e la tentazione del cielo - temi che sembrano favoriti per il regista, insieme alla meditazione sulla morte che pare interessarlo più della riflessione intellettualistica sull’esistenza - Filippo toglie l’enfasi propria dei potenti per regalarci la forza di parole spesso appena sussurrate. Il marcio della Danimarca diventa il male dell’epoca e l’arroganza dei potenti che credono di potersi permettere tutto, di poter calpestare i sentimenti ed annullare i valori morali, un tema di attualità. Solo che il messaggio non è banalizzato nell’attualizzazione; è piuttosto universalizzato, distillato oltre la temporalità, il contesto e il caso.
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martedì 28 aprile 2015
Amleto - Teatro Comunale Ridotto (L'Aquila)
Angkor 2015. Fotografie di Patrizia Molinari a cura di Manuela De Leonardis
Ilaria Guidantoni, 24 Aprile 2015
Acta International, Roma
dal 22 aprile al 22 maggio 2015
Inaugurazione mercoledì 22 aprile 2015 - ore 18.30
Un tempio fotografato su carta di riso dove il particolare iper-realistico abbandona la sua veste di riproduzione per diventare suggestione onirica, animarsi tra decorazione e spuma fiabesca. Senza perdere definizione i particolari ritratti da Patrizia Molinari, volano oltre il contesto e diventano opera. Alla galleria Acta International la serie Angkor 2015, realizzata durante un viaggio in Cambogia nel gennaio 2015. L’autrice isola frammenti del bassorilievo del corridoio del tempio di Angkor Wat, riformulando con un suo ritmo narrativo la sospensione temporale, l’incertezza che attraversa il mito e la storia.
Angkor 2015. Il viaggio, il racconto.
Gli episodi dei racconti epici del Ramayana e del Mahābhārata, testi sacri della religione induista, si snodano lungo le pareti del corridoio esterno del tempio di Angkor Wat, il più vasto monumento religioso al mondo. Un complesso architettonico intrappolato nella natura della giungla e miracolosamente preservato dalla distruzione dei Khmer rossi, la cui costruzione per mano del re khmer Suryavarman II, che lo dedicò a Vishnu, risale al 1113-1150 d.C.
Oggi Angkor Wat è il sito archeologico più visitato e fotografato della Cambogia (note, ma non per questo meno suggestive, le immagini dei fotografi Kenro Izu e Steve McCurry), dichiarato nel 1992 dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità: purtroppo non mancano le ferite della guerra civile nei campi minati che, tuttora, lo circondano.
Il passato emerge dalla semioscurità del corridoio del tempio come in un rotolo antico, attraverso il linguaggio scultoreo del bassorilievo, raccontando storie di uomini, tra angeli e demoni, divinità femminili e maschili, guerrieri, animali, schiavi e sovrani. Forti e deboli camminano insieme, fianco a fianco, tra nascite e morti, nel ciclico rinnovarsi delle stagioni, come scrive nel testo di presentazione all’esposizione Manuela De Leonardis.
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Acta International, Roma
dal 22 aprile al 22 maggio 2015
Inaugurazione mercoledì 22 aprile 2015 - ore 18.30
Un tempio fotografato su carta di riso dove il particolare iper-realistico abbandona la sua veste di riproduzione per diventare suggestione onirica, animarsi tra decorazione e spuma fiabesca. Senza perdere definizione i particolari ritratti da Patrizia Molinari, volano oltre il contesto e diventano opera. Alla galleria Acta International la serie Angkor 2015, realizzata durante un viaggio in Cambogia nel gennaio 2015. L’autrice isola frammenti del bassorilievo del corridoio del tempio di Angkor Wat, riformulando con un suo ritmo narrativo la sospensione temporale, l’incertezza che attraversa il mito e la storia.
Angkor 2015. Il viaggio, il racconto.
Gli episodi dei racconti epici del Ramayana e del Mahābhārata, testi sacri della religione induista, si snodano lungo le pareti del corridoio esterno del tempio di Angkor Wat, il più vasto monumento religioso al mondo. Un complesso architettonico intrappolato nella natura della giungla e miracolosamente preservato dalla distruzione dei Khmer rossi, la cui costruzione per mano del re khmer Suryavarman II, che lo dedicò a Vishnu, risale al 1113-1150 d.C.
Oggi Angkor Wat è il sito archeologico più visitato e fotografato della Cambogia (note, ma non per questo meno suggestive, le immagini dei fotografi Kenro Izu e Steve McCurry), dichiarato nel 1992 dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità: purtroppo non mancano le ferite della guerra civile nei campi minati che, tuttora, lo circondano.
Il passato emerge dalla semioscurità del corridoio del tempio come in un rotolo antico, attraverso il linguaggio scultoreo del bassorilievo, raccontando storie di uomini, tra angeli e demoni, divinità femminili e maschili, guerrieri, animali, schiavi e sovrani. Forti e deboli camminano insieme, fianco a fianco, tra nascite e morti, nel ciclico rinnovarsi delle stagioni, come scrive nel testo di presentazione all’esposizione Manuela De Leonardis.
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Controluce - Alberto Burri. Una vita d’artista di Alessandra Oddi Baglioni
Ilaria Guidantoni, 24 Aprile 2015
Roma, martedì 21 aprile 2015, ore 18,00 - Banco Popolare - Palazzo Altieri, Piazza del Gesù
Una scelta dialettica tra il romanzo e il saggio, sul filo di due generi letterari diversi che l’autrice volutamente costeggia e intreccia lasciando al lettore – attraverso un escamotage – la possibilità di percorrere insieme o alternativamente il viaggio su binari diversi. Dal libro emerge l’uomo Burri, prima dell’artista, raccontato con le sue inclinazioni prima che attraverso le sue opere. Dallo sfondo emerge il ritratto di un’epoca, la mentalità e i luoghi, in primis Roma e Città di Castello che gli ha dato i natali.
Nella cornice di Palazzo Altieri, si è tenuta la presentazione del libro le cui pagine scorrono sul confine sottile e difficile da gestire che divide il romando dal saggio: attraverso la vita e la storia di Burri, ma anche l’uomo Burri, i relatori che hanno introdotto il testo leggono una cornice più ampia, quella di un’epoca. Alessandra Oddi Baglioni descrive un affresco che racconta alcuni luoghi dell’arte, centrali per l’artista, quali Roma e Città di Castello e una mentalità che emerge attraverso luoghi e personaggi compresi il cosiddetto “scandalo Burri” che, a distanza di anni, forse può far sorridere ma che bene illustra un mondo. Burri tra l’altro non è stato un uomo allineato – si dice che non votasse alle elezioni – ed è innegabile che abbia subito un certo ostracismo da parte del pensiero dominante.
Francesco Scoppola, direttore generale Mibact, ha evidenziato come il libro presenti almeno tre itinerari di lettura che ciascuno può scegliere, rispettivamente, la linea del romanzo; quello del documento storico; e, infine, quello suggerito dall’autrice di un intreccio tra le due dimensioni. Si tratta in ogni caso di una possibilità agevole che si può seguire con la scelta di seguire uno dei due caratteri grafici con il quale è scritto il libro, grazie ad un sistema senza forzature o cesure. Il testo non ha la pretesa di un saggio critico anche perché molto è stato scritto su questo autore, ma la voglia di restituirci a tutto tondo un uomo e un profilo.
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Roma, martedì 21 aprile 2015, ore 18,00 - Banco Popolare - Palazzo Altieri, Piazza del Gesù
Una scelta dialettica tra il romanzo e il saggio, sul filo di due generi letterari diversi che l’autrice volutamente costeggia e intreccia lasciando al lettore – attraverso un escamotage – la possibilità di percorrere insieme o alternativamente il viaggio su binari diversi. Dal libro emerge l’uomo Burri, prima dell’artista, raccontato con le sue inclinazioni prima che attraverso le sue opere. Dallo sfondo emerge il ritratto di un’epoca, la mentalità e i luoghi, in primis Roma e Città di Castello che gli ha dato i natali.
Nella cornice di Palazzo Altieri, si è tenuta la presentazione del libro le cui pagine scorrono sul confine sottile e difficile da gestire che divide il romando dal saggio: attraverso la vita e la storia di Burri, ma anche l’uomo Burri, i relatori che hanno introdotto il testo leggono una cornice più ampia, quella di un’epoca. Alessandra Oddi Baglioni descrive un affresco che racconta alcuni luoghi dell’arte, centrali per l’artista, quali Roma e Città di Castello e una mentalità che emerge attraverso luoghi e personaggi compresi il cosiddetto “scandalo Burri” che, a distanza di anni, forse può far sorridere ma che bene illustra un mondo. Burri tra l’altro non è stato un uomo allineato – si dice che non votasse alle elezioni – ed è innegabile che abbia subito un certo ostracismo da parte del pensiero dominante.
Francesco Scoppola, direttore generale Mibact, ha evidenziato come il libro presenti almeno tre itinerari di lettura che ciascuno può scegliere, rispettivamente, la linea del romanzo; quello del documento storico; e, infine, quello suggerito dall’autrice di un intreccio tra le due dimensioni. Si tratta in ogni caso di una possibilità agevole che si può seguire con la scelta di seguire uno dei due caratteri grafici con il quale è scritto il libro, grazie ad un sistema senza forzature o cesure. Il testo non ha la pretesa di un saggio critico anche perché molto è stato scritto su questo autore, ma la voglia di restituirci a tutto tondo un uomo e un profilo.
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I Corti Teatrali 2015 - Teatro dell'Angelo (Roma)
Ilaria Guidantoni, 22 Aprile 2015
Il Teatro dell’Angelo torna a dar vita al Festival dei Corti Teatrali che vide la luce nel 1997, partorito dalla mente di Massimiliano Caprara. Organizzato e prodotto per due anni consecutivi presso il Teatro Vittoria torna, a 18 anni di distanza, in un’edizione che vuole riprendere l’assetto originario e adattarlo a successive repliche, considerato che ormai si tratta di un genere teatrale consolidato, come lo stesso Caprara ha evidenziato presentando la serata, apprezzato anche all’estero. Il Festival, in programma da lunedì 20 aprile a domenica 26 con la premiazione del corto vincitore al Teatro dell’Angelo in Prati, cerca di stabilire un dialogo immediato con il pubblico chiamato a votare il miglior spettacolo di ogni serata, scegliendo di dare la preferenza al testo, alla regia o agli attori.
Item fulltext
Il Teatro dell’Angelo presenta
I CORTI TEATRALI
La versione originale del festival che divenne genere teatrale diffuso in tutta Europa
Teatro dell’Angelo (Roma)
20 – 26 aprile 2015
Come nel suo intento originale, il Festival, di nuovo sotto la direzione artistica di Caprara, che da quest’anno si avvale del supporto di Veronica Milaneschi, torna ad avere la peculiare caratteristica di porsi quale strumento focale per l’individuazione di nuovi talenti teatrali, emergenti e su scala nazionale; il suo fine ultimo è quello di mappare lo stato del teatro contemporaneo in Italia, così da stimolare da un lato gli addetti ai lavori, che potranno attingere dalle produzioni dei colleghi nuovi impulsi creativi, e dall’altro il pubblico degli appassionati romani, che avrà la possibilità di fruire di spettacoli provenienti da altre regioni d’Italia. Al centro della ricerca del Festival non solo l’attore e il regista quanto il coinvolgimento del pubblico come prima linea della critica.
Alla fine della sesta giornata di rappresentazioni verranno proclamati i tre corti vincitori delle singole categorie (regia, testo e interpretazioni), che torneranno in scena il giorno successivo (quello finale) per contendersi la palma del corto vincitore e un premio di 2000 euro; la votazione finale sarà costituita ancora una volta per un 50% dalla scelta del pubblico, e per il restante 50 % dal verdetto di una giuria di settore selezionata e costituita da influenti personalità del mondo teatrale quali attori, registi e critici. Il Festival si svolgerà in sette serate e vedrà l’avvicendarsi di quattro spettacoli a sera, di una lunghezza varia ma che non sarà superiore ai 30 minuti.
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Il Teatro dell’Angelo torna a dar vita al Festival dei Corti Teatrali che vide la luce nel 1997, partorito dalla mente di Massimiliano Caprara. Organizzato e prodotto per due anni consecutivi presso il Teatro Vittoria torna, a 18 anni di distanza, in un’edizione che vuole riprendere l’assetto originario e adattarlo a successive repliche, considerato che ormai si tratta di un genere teatrale consolidato, come lo stesso Caprara ha evidenziato presentando la serata, apprezzato anche all’estero. Il Festival, in programma da lunedì 20 aprile a domenica 26 con la premiazione del corto vincitore al Teatro dell’Angelo in Prati, cerca di stabilire un dialogo immediato con il pubblico chiamato a votare il miglior spettacolo di ogni serata, scegliendo di dare la preferenza al testo, alla regia o agli attori.
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Il Teatro dell’Angelo presenta
I CORTI TEATRALI
La versione originale del festival che divenne genere teatrale diffuso in tutta Europa
Teatro dell’Angelo (Roma)
20 – 26 aprile 2015
Come nel suo intento originale, il Festival, di nuovo sotto la direzione artistica di Caprara, che da quest’anno si avvale del supporto di Veronica Milaneschi, torna ad avere la peculiare caratteristica di porsi quale strumento focale per l’individuazione di nuovi talenti teatrali, emergenti e su scala nazionale; il suo fine ultimo è quello di mappare lo stato del teatro contemporaneo in Italia, così da stimolare da un lato gli addetti ai lavori, che potranno attingere dalle produzioni dei colleghi nuovi impulsi creativi, e dall’altro il pubblico degli appassionati romani, che avrà la possibilità di fruire di spettacoli provenienti da altre regioni d’Italia. Al centro della ricerca del Festival non solo l’attore e il regista quanto il coinvolgimento del pubblico come prima linea della critica.
Alla fine della sesta giornata di rappresentazioni verranno proclamati i tre corti vincitori delle singole categorie (regia, testo e interpretazioni), che torneranno in scena il giorno successivo (quello finale) per contendersi la palma del corto vincitore e un premio di 2000 euro; la votazione finale sarà costituita ancora una volta per un 50% dalla scelta del pubblico, e per il restante 50 % dal verdetto di una giuria di settore selezionata e costituita da influenti personalità del mondo teatrale quali attori, registi e critici. Il Festival si svolgerà in sette serate e vedrà l’avvicendarsi di quattro spettacoli a sera, di una lunghezza varia ma che non sarà superiore ai 30 minuti.
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A cento anni dal Genocidio degli Armeni "L'Eclisse": un melologo di Sonya Orfalian a Radiotre-RAI
Ho scritto L’Eclisse avendo in mente e nel cuore la ricorrenza del centenario del genocidio del mio popolo.
E' un testo pensato per una voce sola - quella dell'attrice Maria Paiato - ma che al tempo stesso evoca e sovrappone una moltitudine di voci: sono le voci dimenticate, quelle di chi è dovuto soccombere, e le voci della testimonianza, i sussurri di chi è riuscito a sopravvivere all'orrore senza fine e ha cercato di opporsi al silenzio crudele della Storia.
L'Eclisse ripercorre, assieme alla storia degli Armeni e del loro olocausto, le intermittenze espressive di una tradizione antica e i miti di creazione del cosmo culturale armeno, componendo in un affresco comune la storia e la mitologia, la memoria e il sogno, il linguaggio della fiaba e quello della realtà più cruda.
Le musiche che attraversano il testo - eseguite dall’Anahit Ensemble - sono opera del compositore e musicologo armeno più venerato in patria e nella diaspora, Soghomon Soghomonian, più conosciuto come Komitas. E la storia stessa di Komitas si identifica con il genocidio degli Armeni: era il 24 aprile del 1915 quando il governo dei Giovani Turchi diede ordine di arrestare e in seguito eliminare tutti i circa duecentocinquanta intellettuali e notabili armeni di Istanbul, cancellando in tal modo i referenti civili e religiosi degli armeni della città e dando così il segnale d'avvio dello sterminio di massa. Komitas fu tra questi martiri.
Sonya Orfalian
Ascolta l'audio
E' un testo pensato per una voce sola - quella dell'attrice Maria Paiato - ma che al tempo stesso evoca e sovrappone una moltitudine di voci: sono le voci dimenticate, quelle di chi è dovuto soccombere, e le voci della testimonianza, i sussurri di chi è riuscito a sopravvivere all'orrore senza fine e ha cercato di opporsi al silenzio crudele della Storia.
L'Eclisse ripercorre, assieme alla storia degli Armeni e del loro olocausto, le intermittenze espressive di una tradizione antica e i miti di creazione del cosmo culturale armeno, componendo in un affresco comune la storia e la mitologia, la memoria e il sogno, il linguaggio della fiaba e quello della realtà più cruda.
Le musiche che attraversano il testo - eseguite dall’Anahit Ensemble - sono opera del compositore e musicologo armeno più venerato in patria e nella diaspora, Soghomon Soghomonian, più conosciuto come Komitas. E la storia stessa di Komitas si identifica con il genocidio degli Armeni: era il 24 aprile del 1915 quando il governo dei Giovani Turchi diede ordine di arrestare e in seguito eliminare tutti i circa duecentocinquanta intellettuali e notabili armeni di Istanbul, cancellando in tal modo i referenti civili e religiosi degli armeni della città e dando così il segnale d'avvio dello sterminio di massa. Komitas fu tra questi martiri.
Sonya Orfalian
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giovedì 23 aprile 2015
Incontri sui Tatra - manifesti di turismo e sport 1900-1950 dalla collezione del Museo dei Tatra a Zakopane
Ilaria Guidantoni, 20 Aprile 2015
a cura di Danuta Janusz e Anna Wende-Surmiak
La Polonia delle vacanze primi Novecento a Roma
In occasione di un incontro dedicato agli operatori del turismo e alla stampa di settore per promuovere la Polonia a Roma, all’interno di un incontro Adutei (associazione dei Delegati Ufficiali del Turismo Estero in Italia), la mostra in corso sui Manifesti turistici e legati alle attività sportive della prima metà del Novecento, dalla collezione del Museo dei Tatra a Zakopane. Un’occasione per rileggere attraverso opere originali una comunicazione nella quale la promozione non era ancora diventata pubblicità commerciale e il turismo si raccontava con delle storie e con l’arte.
E’ ancora in corso nella bella cornice di Palazzo Blumenstihl, all’inizio di via Vittoria Colonna, quasi sul Tevere, appena passato il ponte Cavour – nella sede dell’Istituto di Cultura Polacca a Roma – la mostra “Incontri sui Tatra”, manifesti di turismo e sport sulle montagne in Polonia dal museo dei Tatra a Zakopane, città rinomata e molto visitata ai piedi dei Monti Tatra che la circondano, le vette più alte della Polonia. Il museo è intitolato a Tytu Chatubinski, primo divulgatore del patrimonio naturale di quella regione ed è il più antico e grande museo regionale nel sud del paese, nato nel 1889, dotato di sei filiali (Museo dello Stile Zakopane di Villa Koliba intitolato a Stanisław Witkiewicz; Museo dello Stile Zakopane – Ispirazioni; Galleria d'Arte del Novecento di Villa Oksza; Galleria di Władysław Hasior; Galleria d'Arte di Włodzimierz e Jerzy Kulczycki; e Museo di Kornel Makuszyński, nonché da altre quattro filiali sparse sul territorio della regione: il Museo dell'Insurrezione di Chochołów, Podere, dwór di Łopuszna, Cascina, zagroda dei Korkosz a Czarna Góra e Cascina dei Sołtys a Jurgów).
L’edificio in legno e muratura, conserva l’antico impianto e ospita esposizioni permanenti e temporanee che presentano la cultura montanara, cifra importante del paese. Il museo in particolare è strettamente legato al patrimonio culturale e paesaggistico della regione di Podtatrze, letteralmente “al di sotto delle montagne Tatra” ed ha un ruolo centrale per l’attività culturale e formativa che svolge con numerose attività, dal 2009 anche in collaborazione con il Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino.
La stessa mostra fa parte infatti di un accordo tra i due musei che si sono incontrati ai piedi delle rispettive montagne quali elementi identitari del proprio mondo.
Ingenui, artistici, colorati, talora vere e proprie opere d’arte di artisti importanti, i manifesti sono l’incontro del boom turistico in Europa tra il XIX e il XX secolo quando, parimenti, si sviluppò la pubblicità che trovò nel manifesto appunto una delle prime e più importanti forme di espressione. Il primato del turismo montano spettava alla Francia, la Svizzera, la Germania e l’Italia quando le funicolari e gli avvenimenti sportivi cominciarono a destare un forte interesse. Dopo una fase iniziale di mera pubblicità, intorno agli anni Venti del Novecento si dette spazio alle informazioni e fu arricchita la veste grafica. Fu allora che gli autori cominciarono a firmarli e il manifesto divenne una vera opera d’arte e, viceversa, nello stesso tempo l’arte cominciò ad essere contaminata con il marketing. Dalle grandi litografie con la tecnica offset i manifesti divennero più contenuti negli anni Trenta e dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò il collezionismo anche se il mercato polacco non fu così vivace come quello svizzero e italiano ad esempio. Purtroppo tra l’altro la collezione dei primi manifesti nazionali si è ridotta molto e non supera il centinaio di opere. In ogni caso ben conservati e di bella qualità ci permettono di fare un viaggio a ritroso tornando un po’ alle immagini di quando eravamo bambini.
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a cura di Danuta Janusz e Anna Wende-Surmiak
La Polonia delle vacanze primi Novecento a Roma
In occasione di un incontro dedicato agli operatori del turismo e alla stampa di settore per promuovere la Polonia a Roma, all’interno di un incontro Adutei (associazione dei Delegati Ufficiali del Turismo Estero in Italia), la mostra in corso sui Manifesti turistici e legati alle attività sportive della prima metà del Novecento, dalla collezione del Museo dei Tatra a Zakopane. Un’occasione per rileggere attraverso opere originali una comunicazione nella quale la promozione non era ancora diventata pubblicità commerciale e il turismo si raccontava con delle storie e con l’arte.
E’ ancora in corso nella bella cornice di Palazzo Blumenstihl, all’inizio di via Vittoria Colonna, quasi sul Tevere, appena passato il ponte Cavour – nella sede dell’Istituto di Cultura Polacca a Roma – la mostra “Incontri sui Tatra”, manifesti di turismo e sport sulle montagne in Polonia dal museo dei Tatra a Zakopane, città rinomata e molto visitata ai piedi dei Monti Tatra che la circondano, le vette più alte della Polonia. Il museo è intitolato a Tytu Chatubinski, primo divulgatore del patrimonio naturale di quella regione ed è il più antico e grande museo regionale nel sud del paese, nato nel 1889, dotato di sei filiali (Museo dello Stile Zakopane di Villa Koliba intitolato a Stanisław Witkiewicz; Museo dello Stile Zakopane – Ispirazioni; Galleria d'Arte del Novecento di Villa Oksza; Galleria di Władysław Hasior; Galleria d'Arte di Włodzimierz e Jerzy Kulczycki; e Museo di Kornel Makuszyński, nonché da altre quattro filiali sparse sul territorio della regione: il Museo dell'Insurrezione di Chochołów, Podere, dwór di Łopuszna, Cascina, zagroda dei Korkosz a Czarna Góra e Cascina dei Sołtys a Jurgów).
L’edificio in legno e muratura, conserva l’antico impianto e ospita esposizioni permanenti e temporanee che presentano la cultura montanara, cifra importante del paese. Il museo in particolare è strettamente legato al patrimonio culturale e paesaggistico della regione di Podtatrze, letteralmente “al di sotto delle montagne Tatra” ed ha un ruolo centrale per l’attività culturale e formativa che svolge con numerose attività, dal 2009 anche in collaborazione con il Museo Nazionale della Montagna “Duca degli Abruzzi” di Torino.
La stessa mostra fa parte infatti di un accordo tra i due musei che si sono incontrati ai piedi delle rispettive montagne quali elementi identitari del proprio mondo.
Ingenui, artistici, colorati, talora vere e proprie opere d’arte di artisti importanti, i manifesti sono l’incontro del boom turistico in Europa tra il XIX e il XX secolo quando, parimenti, si sviluppò la pubblicità che trovò nel manifesto appunto una delle prime e più importanti forme di espressione. Il primato del turismo montano spettava alla Francia, la Svizzera, la Germania e l’Italia quando le funicolari e gli avvenimenti sportivi cominciarono a destare un forte interesse. Dopo una fase iniziale di mera pubblicità, intorno agli anni Venti del Novecento si dette spazio alle informazioni e fu arricchita la veste grafica. Fu allora che gli autori cominciarono a firmarli e il manifesto divenne una vera opera d’arte e, viceversa, nello stesso tempo l’arte cominciò ad essere contaminata con il marketing. Dalle grandi litografie con la tecnica offset i manifesti divennero più contenuti negli anni Trenta e dopo la Seconda Guerra Mondiale iniziò il collezionismo anche se il mercato polacco non fu così vivace come quello svizzero e italiano ad esempio. Purtroppo tra l’altro la collezione dei primi manifesti nazionali si è ridotta molto e non supera il centinaio di opere. In ogni caso ben conservati e di bella qualità ci permettono di fare un viaggio a ritroso tornando un po’ alle immagini di quando eravamo bambini.
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San Vittore 1 Maggio 1 Raggio - Pensando Expositivo
E’ uno “Speciale Padiglione Italia” quello che sarà allestito presso la Casa Circondariale di San Vittore a Milano in occasione dell’apertura di EXPO 2015 il prossimo primo maggio. Si tratta di un’esposizione delle attività produttive legate al cibo e all’ambiente che si realizzano nelle strutture penitenziarie italiane.
Un’occasione importante per dare visibilità all’economia penitenziaria che non solo produce e genera posti di lavoro per i detenuti ma, in raccordo con le Istituzioni, consente di realizzare quell’intervento di inclusione sociale che mira complessivamente all’abbassamento della recidiva in piena coerenza col mandato costituzionale.
In virtù di un protocollo siglato tra EXPO 2015 spa, Magistratura di Sorveglianza Milanese e Amministrazione Penitenziaria e’ già realtà l’impegno lavorativo per cento persone, uomini e donne (detenute o in misura alternativa alla detenzione), che per sei mesi svolgeranno attività di informazione, accompagnamento dei visitatori agli ingressi, biglietterie, snodi di controllo e altro. E la scommessa di Milano e’ dare continuità al lavoro intrapreso grazie ad Expo.
Lo speciale padiglione potrà essere visitato dalle 15,30 alle 18,00, da imprenditori, ristoratori, commercianti, amministratori pubblici e cittadini nell’obiettivo di assaggiare, toccare, concordare strategie commerciali e stabilire contatti utili per proseguire una collaborazione fattiva creare opportunità lavorative.
Sarà la prima occasione per incontrare imprenditori, datori di lavoro, che, sensibili ai temi della responsabilità sociale d’impresa, possano partecipare attivamente a quell’azione rieducativa e inclusiva che dal carcere comincia. Azione che solo in forte raccordo tra le strutture penitenziarie, le imprese sociali e le organizzazioni di settore può trovare un positivo esito: per “dare commesse” alle produzioni del penitenziario, per “dare lavoro” a chi torna in libertà con un bagaglio di formazione e competenze lavorative maturato nel tempo della detenzione.
La richiesta di partecipazione e’ da inviare entro e non oltre il 23 aprile p.v. via mail al seguente indirizzo:
liberascuoladicucina@aei.coop
Nell’oggetto della mail si chiede di indicare:
richiesta di partecipazione EXPOSITIVO San Vittore 1 maggio
Nel testo della mail si chiede di indicare:
Cognome, Nome, Luogo e data di nascita, indirizzo di residenza, estremi documento di identità
Trattandosi di un ingresso a numero limitato, si precisa che la partecipazione sarà confermata via mail e corredata da tutte le informazioni necessarie per accedere all’Istituto.
Tale mail è da considerarsi biglietto di ingresso.
Un’occasione importante per dare visibilità all’economia penitenziaria che non solo produce e genera posti di lavoro per i detenuti ma, in raccordo con le Istituzioni, consente di realizzare quell’intervento di inclusione sociale che mira complessivamente all’abbassamento della recidiva in piena coerenza col mandato costituzionale.
In virtù di un protocollo siglato tra EXPO 2015 spa, Magistratura di Sorveglianza Milanese e Amministrazione Penitenziaria e’ già realtà l’impegno lavorativo per cento persone, uomini e donne (detenute o in misura alternativa alla detenzione), che per sei mesi svolgeranno attività di informazione, accompagnamento dei visitatori agli ingressi, biglietterie, snodi di controllo e altro. E la scommessa di Milano e’ dare continuità al lavoro intrapreso grazie ad Expo.
Lo speciale padiglione potrà essere visitato dalle 15,30 alle 18,00, da imprenditori, ristoratori, commercianti, amministratori pubblici e cittadini nell’obiettivo di assaggiare, toccare, concordare strategie commerciali e stabilire contatti utili per proseguire una collaborazione fattiva creare opportunità lavorative.
Sarà la prima occasione per incontrare imprenditori, datori di lavoro, che, sensibili ai temi della responsabilità sociale d’impresa, possano partecipare attivamente a quell’azione rieducativa e inclusiva che dal carcere comincia. Azione che solo in forte raccordo tra le strutture penitenziarie, le imprese sociali e le organizzazioni di settore può trovare un positivo esito: per “dare commesse” alle produzioni del penitenziario, per “dare lavoro” a chi torna in libertà con un bagaglio di formazione e competenze lavorative maturato nel tempo della detenzione.
La richiesta di partecipazione e’ da inviare entro e non oltre il 23 aprile p.v. via mail al seguente indirizzo:
liberascuoladicucina@aei.coop
Nell’oggetto della mail si chiede di indicare:
richiesta di partecipazione EXPOSITIVO San Vittore 1 maggio
Nel testo della mail si chiede di indicare:
Cognome, Nome, Luogo e data di nascita, indirizzo di residenza, estremi documento di identità
Trattandosi di un ingresso a numero limitato, si precisa che la partecipazione sarà confermata via mail e corredata da tutte le informazioni necessarie per accedere all’Istituto.
Tale mail è da considerarsi biglietto di ingresso.
venerdì 17 aprile 2015
Angkor 2015 Fotografie di Patrizia Molinari - Dal 22 aprile al 22 maggio 2015
Angkor 2015
Fotografie di Patrizia Molinari
a cura di Manuela De Leonardis
Acta International, Roma
dal 22 aprile al 22 maggio 2015
Inaugurazione mercoledì 22 aprile 2015 - ore 18.30
La galleria Acta International è lieta di presentare la serie Angkor 2015, realizzata da Patrizia Molinari durante un viaggio in Cambogia nel gennaio 2015. L’autrice isola frammenti del bassorilievo del corridoio del tempio di Angkor Wat, riformulando con un suo ritmo narrativo la sospensione temporale, l’incertezza che attraversa il mito e la storia.
Angkor 2015. Il viaggio, il racconto
Gli episodi dei racconti epici del Ramayana e del Mahābhārata, testi sacri della religione induista, si snodano lungo le pareti del corridoio esterno del tempio di Angkor Wat, il più vasto monumento religioso al mondo. Un complesso architettonico intrappolato nella natura della giungla e miracolosamente preservato dalla distruzione dei Khmer rossi, la cui costruzione per mano del re khmer Suryavarman II, che lo dedicò a Vishnu, risale al 1113-1150 d.C.
Oggi Angkor Wat è il sito archeologico più visitato e fotografato della Cambogia (note, ma non per questo meno suggestive, le immagini dei fotografi Kenro Izu e Steve McCurry): malgrado ciò reca le ferite della guerra civile nei campi minati che, tuttora, lo circondano.
Il passato emerge dalla semioscurità del corridoio del tempio. Come un rotolo antico, come una moderna strip, prendono forma attraverso il linguaggio scultoreo del bassorilievo storie di uomini, tra angeli e demoni, divinità femminili e maschili, guerrieri, animali, schiavi e sovrani. Forti e deboli camminano insieme, fianco a fianco, tra nascite e morti, nel ciclico rinnovarsi delle stagioni.
La narrazione procede per strisce orizzontali, sovrapposte. La pietra di arenaria vira nelle tonalità rosate che recano tracce ancora visibili di rossi, gialli, neri. Parti lucide illuminano vaste sezioni opache, rese più brillanti dallo strofinamento di mani che nel tempo hanno accarezzato la pietra.
Un crescendo di espressioni, scavate con estrema raffinatezza nei blocchi di arenaria, svelano l’atemporalità di emozioni e sentimenti: paura, gioia, stupore, fatica, dramma.
Questa mappatura la ritroviamo nelle immagini fotografiche di Patrizia Molinari.
L’artista, accompagnata nella sua visita del sito dallo studioso Claudio Bussolino ha modo, così, di avvicinarsi alla mitologia e alla storia di questo complesso straordinario che nel 1992 è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Usa l’iPhone per memorizzare quanto appare davanti a suoi occhi. Uno sguardo reso più consapevole dall’introduzione del suo cicerone.
La galleria più esterna misura 187 per 215 metri ed è aperta verso l'esterno del tempio, il bassorilievo che la accompagna è fitto di composizioni gremite di figure in movimento: la battaglia di Lanka e la battaglia di Kurukshetra sono seguite da scene storiche con la processione in onore di Suryavarman II, e poi i 32 inferni e i 37 paradisi della mitologia indù. Proseguendo per la galleria ad est si trova la grande creazione del mare di latte, accompagnata dalla rappresentazione di 92 figure di Asura e 88 di Deva. La galleria a nord, infine, mostra la vittoria di Krishna su Banasura e una battaglia tra dei.
Le immagini della Molinari sono “appunti di viaggio”: hanno la stessa freschezza delle pagine fitte di scrittura che riempivano i diari dei viaggiatori del XX secolo, primo fra tutti quello del naturalista, entomologo ed esploratore francese Henri Mouhot che di Angkor, che visitò nel 1860, ha lasciato traccia nei disegni e nelle descrizioni pubblicate nel suo libro Voyage dans les royaumes de Siam, de Cambodge, de Laos et autres parties centrales de l'Indochine.
Ogni scatto corrisponde ad un sentimento, che empaticamente coinvolge l’autrice.
“Straziata dalla povertà della Cambogia, indignata per la distruzione operata dai Khmer Rossi nell'assordante silenzio dell'Occidente, tanto più la bellezza dei monumenti è diventata per me, un’emozione insuperabile.”, afferma l’artista.
Isolati, i frammenti del racconto vivono autonomamente rispetto alla coralità dell’insieme. Allegorica rappresentazione dell’uno e del tutto nella storia dell’uomo.
La sospensione temporale, l’incertezza che attraversa la storia, sono presenti nelle immagini poco nitide, stampate su fogli di carta giapponese.
L’aspetto materico del supporto cartaceo asseconda la traduzione di questo palinsesto visivo, in cui si respira la stessa atmosfera magica della camera oscura: il momento in cui l’immagine affiora nel liquido per lo sviluppo nella bacinella.
All’origine della vita, l’elemento liquido, attraversa da sempre l’intera poetica di Patrizia Molinari.
(Manuela De Leonardis)
Patrizia Molinari è nata a Senigallia nel 1948, vive e lavora a Roma. E’ Professore Emerito di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, Napoli e Roma.
Da sempre compie una ricerca sul Bianco e sul Monocromo, studia le interazioni con la Luce per arrivare a lavorare sulla luce come sostanza a se stante. In scultura lavora con vetro di Murano, vetro industriale, acciaio e pietre illuminate da fibre ottiche, ha realizzato grandi opere pubbliche tra cui l’obelisco di acciaio e gun light “Verso lo spazio” per il quartiere di Tor Bella Monaca a Roma, una scultura di pietra e luce “Venere” per il Parco Archeologico di Crotone; “Colonne e Capitelli” per Delfi e “Arturo” a Senigallia.
Attualmente usa la fotografia per indagare gli stessi concetti di luce, acqua e bianco sempre riferiti a temi della natura e delle origini. Ha collaborato con la Casa Editrice La Mausette di Bruxelles per Rehab. Nel 2013 è stata invitata ad Arte Fiera di Genova, all’Art Athina Internetional Contemporary di Atene, al Present’Art Festival di Shanghai, a Tabula Rasa al Museo del Paesaggio di Torre del Mosto, a Cartaria Studio Arte Fuori Centro e a Photissima Art Fair di Torino. Ha partecipato alle Biennali di Venezia, Emirati Arabi, Bangladesh e tenuto conferenze di Storia dell’Arte Contemporanea in Italia, Inghilterra, Grecia, Emirati Arabi, Bangladesh e Oman. Le sue opere sono presenti in musei italiani e importanti collezioni private in Europa e negli Stati Uniti.
Tra le mostre del 2014: Il titolo è senza titolo, Galleria Harpax, Ferentino (personale); Chiaro come la luce, Villa Comunale, Frosinone (personale); Oltre lo specchio oltre Sud per Wine and the City, Sud Ristorante, Napoli (personale); Dietro lo specchio, Galleria Portfolio, Senigallia (personale); La Camera del mago, Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte, Marsciano; Il suono del bianco, Freemocco's house, Deruta (personale); In Piatto, Studio Arte Fuori Centro, Roma; Donna e Multiculturalità nell’Europa di oggi, Complesso monumentale di Sant’Andrea al Quirinale, Roma; Nori De’ Nobili la viaggiatrice immobile, Museo Nori De’ Nobili, Trecastelli; Artisti tra opere e comportamento, Museo del Paesaggio, Torre del Mosto; VI Present Art Festival di Shanghai; I Have A Dream, Palazzo Reale, Milano; La divina marchesa, Museo Fortuny, Venezia; La grande illusione, Temple University, Roma; Il Natale dei Cento Alberi d’Autore, Palazzo Torlonia, Roma.
Informazioni:
Angkor 2015. Fotografie di Patrizia Molinari
dal 22 aprile al 22 maggio 2015
a cura di Manuela De Leonardis
ACTA INTERNATIONAL direzione: Giovanna Pennacchi
via Panisperna, 82-83 – 00184 Roma
dal martedì al sabato ore 16.30 - 20.30 – tel. 06.4742005; info@actainternational.it - www.actainternational.it
Fotografie di Patrizia Molinari
a cura di Manuela De Leonardis
Acta International, Roma
dal 22 aprile al 22 maggio 2015
Inaugurazione mercoledì 22 aprile 2015 - ore 18.30
La galleria Acta International è lieta di presentare la serie Angkor 2015, realizzata da Patrizia Molinari durante un viaggio in Cambogia nel gennaio 2015. L’autrice isola frammenti del bassorilievo del corridoio del tempio di Angkor Wat, riformulando con un suo ritmo narrativo la sospensione temporale, l’incertezza che attraversa il mito e la storia.
Angkor 2015. Il viaggio, il racconto
Gli episodi dei racconti epici del Ramayana e del Mahābhārata, testi sacri della religione induista, si snodano lungo le pareti del corridoio esterno del tempio di Angkor Wat, il più vasto monumento religioso al mondo. Un complesso architettonico intrappolato nella natura della giungla e miracolosamente preservato dalla distruzione dei Khmer rossi, la cui costruzione per mano del re khmer Suryavarman II, che lo dedicò a Vishnu, risale al 1113-1150 d.C.
Oggi Angkor Wat è il sito archeologico più visitato e fotografato della Cambogia (note, ma non per questo meno suggestive, le immagini dei fotografi Kenro Izu e Steve McCurry): malgrado ciò reca le ferite della guerra civile nei campi minati che, tuttora, lo circondano.
Il passato emerge dalla semioscurità del corridoio del tempio. Come un rotolo antico, come una moderna strip, prendono forma attraverso il linguaggio scultoreo del bassorilievo storie di uomini, tra angeli e demoni, divinità femminili e maschili, guerrieri, animali, schiavi e sovrani. Forti e deboli camminano insieme, fianco a fianco, tra nascite e morti, nel ciclico rinnovarsi delle stagioni.
La narrazione procede per strisce orizzontali, sovrapposte. La pietra di arenaria vira nelle tonalità rosate che recano tracce ancora visibili di rossi, gialli, neri. Parti lucide illuminano vaste sezioni opache, rese più brillanti dallo strofinamento di mani che nel tempo hanno accarezzato la pietra.
Un crescendo di espressioni, scavate con estrema raffinatezza nei blocchi di arenaria, svelano l’atemporalità di emozioni e sentimenti: paura, gioia, stupore, fatica, dramma.
Questa mappatura la ritroviamo nelle immagini fotografiche di Patrizia Molinari.
L’artista, accompagnata nella sua visita del sito dallo studioso Claudio Bussolino ha modo, così, di avvicinarsi alla mitologia e alla storia di questo complesso straordinario che nel 1992 è stato dichiarato dall’UNESCO Patrimonio dell’Umanità.
Usa l’iPhone per memorizzare quanto appare davanti a suoi occhi. Uno sguardo reso più consapevole dall’introduzione del suo cicerone.
La galleria più esterna misura 187 per 215 metri ed è aperta verso l'esterno del tempio, il bassorilievo che la accompagna è fitto di composizioni gremite di figure in movimento: la battaglia di Lanka e la battaglia di Kurukshetra sono seguite da scene storiche con la processione in onore di Suryavarman II, e poi i 32 inferni e i 37 paradisi della mitologia indù. Proseguendo per la galleria ad est si trova la grande creazione del mare di latte, accompagnata dalla rappresentazione di 92 figure di Asura e 88 di Deva. La galleria a nord, infine, mostra la vittoria di Krishna su Banasura e una battaglia tra dei.
Le immagini della Molinari sono “appunti di viaggio”: hanno la stessa freschezza delle pagine fitte di scrittura che riempivano i diari dei viaggiatori del XX secolo, primo fra tutti quello del naturalista, entomologo ed esploratore francese Henri Mouhot che di Angkor, che visitò nel 1860, ha lasciato traccia nei disegni e nelle descrizioni pubblicate nel suo libro Voyage dans les royaumes de Siam, de Cambodge, de Laos et autres parties centrales de l'Indochine.
Ogni scatto corrisponde ad un sentimento, che empaticamente coinvolge l’autrice.
“Straziata dalla povertà della Cambogia, indignata per la distruzione operata dai Khmer Rossi nell'assordante silenzio dell'Occidente, tanto più la bellezza dei monumenti è diventata per me, un’emozione insuperabile.”, afferma l’artista.
Isolati, i frammenti del racconto vivono autonomamente rispetto alla coralità dell’insieme. Allegorica rappresentazione dell’uno e del tutto nella storia dell’uomo.
La sospensione temporale, l’incertezza che attraversa la storia, sono presenti nelle immagini poco nitide, stampate su fogli di carta giapponese.
L’aspetto materico del supporto cartaceo asseconda la traduzione di questo palinsesto visivo, in cui si respira la stessa atmosfera magica della camera oscura: il momento in cui l’immagine affiora nel liquido per lo sviluppo nella bacinella.
All’origine della vita, l’elemento liquido, attraversa da sempre l’intera poetica di Patrizia Molinari.
(Manuela De Leonardis)
Patrizia Molinari è nata a Senigallia nel 1948, vive e lavora a Roma. E’ Professore Emerito di Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Frosinone, Napoli e Roma.
Da sempre compie una ricerca sul Bianco e sul Monocromo, studia le interazioni con la Luce per arrivare a lavorare sulla luce come sostanza a se stante. In scultura lavora con vetro di Murano, vetro industriale, acciaio e pietre illuminate da fibre ottiche, ha realizzato grandi opere pubbliche tra cui l’obelisco di acciaio e gun light “Verso lo spazio” per il quartiere di Tor Bella Monaca a Roma, una scultura di pietra e luce “Venere” per il Parco Archeologico di Crotone; “Colonne e Capitelli” per Delfi e “Arturo” a Senigallia.
Attualmente usa la fotografia per indagare gli stessi concetti di luce, acqua e bianco sempre riferiti a temi della natura e delle origini. Ha collaborato con la Casa Editrice La Mausette di Bruxelles per Rehab. Nel 2013 è stata invitata ad Arte Fiera di Genova, all’Art Athina Internetional Contemporary di Atene, al Present’Art Festival di Shanghai, a Tabula Rasa al Museo del Paesaggio di Torre del Mosto, a Cartaria Studio Arte Fuori Centro e a Photissima Art Fair di Torino. Ha partecipato alle Biennali di Venezia, Emirati Arabi, Bangladesh e tenuto conferenze di Storia dell’Arte Contemporanea in Italia, Inghilterra, Grecia, Emirati Arabi, Bangladesh e Oman. Le sue opere sono presenti in musei italiani e importanti collezioni private in Europa e negli Stati Uniti.
Tra le mostre del 2014: Il titolo è senza titolo, Galleria Harpax, Ferentino (personale); Chiaro come la luce, Villa Comunale, Frosinone (personale); Oltre lo specchio oltre Sud per Wine and the City, Sud Ristorante, Napoli (personale); Dietro lo specchio, Galleria Portfolio, Senigallia (personale); La Camera del mago, Museo dinamico del laterizio e delle terrecotte, Marsciano; Il suono del bianco, Freemocco's house, Deruta (personale); In Piatto, Studio Arte Fuori Centro, Roma; Donna e Multiculturalità nell’Europa di oggi, Complesso monumentale di Sant’Andrea al Quirinale, Roma; Nori De’ Nobili la viaggiatrice immobile, Museo Nori De’ Nobili, Trecastelli; Artisti tra opere e comportamento, Museo del Paesaggio, Torre del Mosto; VI Present Art Festival di Shanghai; I Have A Dream, Palazzo Reale, Milano; La divina marchesa, Museo Fortuny, Venezia; La grande illusione, Temple University, Roma; Il Natale dei Cento Alberi d’Autore, Palazzo Torlonia, Roma.
Informazioni:
Angkor 2015. Fotografie di Patrizia Molinari
dal 22 aprile al 22 maggio 2015
a cura di Manuela De Leonardis
ACTA INTERNATIONAL direzione: Giovanna Pennacchi
via Panisperna, 82-83 – 00184 Roma
dal martedì al sabato ore 16.30 - 20.30 – tel. 06.4742005; info@actainternational.it - www.actainternational.it
giovedì 16 aprile 2015
Dal 20 al 26 aprile 2015 Corti teatrali - Teatro dell'Angelo (Roma)
Il teatro dell’Angelo
Presenta
I CORTI TEATRALI
La versione originale del festival che divenne genere teatrale diffuso in tutta Europa
Teatro dell’Angelo (Roma)
20 – 26 aprile 2015
Il Teatro dell’Angelo torna a dar vita al FESTIVAL DEI CORTI TEATRALI che vide la luce nel 1997, partorito dalla mente di Massimiliano Caprara. Organizzato e prodotto per due anni consecutivi presso il Teatro Vittoria torna, a 18 anni di distanza, in una fortunata edizione che vuole riprendere l’assetto originario e adattarlo a successive repliche.
Il Festival avrà inizio lunedì 20 aprile, e terminerà domenica 26 con la premiazione del corto vincitore.
Come nel suo intento originale, il Festival, di nuovo sotto la direzione artistica di Caprara, che da quest’anno si avvale del vitale supporto dell’energica Veronica Milaneschi, torna ad avere la peculiare caratteristica di porsi quale strumento focale per l’individuazione di nuovi talenti teatrali, emergenti e su scala nazionale; il suo fine ultimo è quello di mappare lo stato del teatro contemporaneo in Italia, così da stimolare da un lato gli addetti ai lavori, che potranno attingere dalle produzioni dei colleghi nuovi impulsi creativi, e dall’altro il pubblico degli appassionati romani, che avrà la possibilità di fruire di spettacoli provenienti da altre regioni d’Italia.
Al centro della ricerca che il Festival si pone di perseguire, infatti non vi sarà solo l’attore, creatore della scena e a contatto con la materia scelta, ma anche la sensibilità critica di un nuovo pubblico attento e consapevole, partecipe in modo attivo nel processo di creazione artistica.
Gli spettatori saranno chiamati a dare un triplice giudizio, sulla regia, sull’interpretazione e sul testo, e potranno esprimere le proprie preferenze solo alla fine dell’ultimo spettacolo di ogni giornata. Alla fine della sesta giornata di rappresentazioni verranno proclamati i tre corti vincitori delle singole categorie (regia, testo e interpretazioni), che torneranno in scena il giorno successivo (quello finale) per contendersi la palma del corto vincitore e un premio di 2000 euro; la votazione finale sarà ancora costituita ancora una volta per un 50% dalla scelta del pubblico, e per il restante 50 % dal verdetto di una giuria di settore selezionata e costituita da influenti personalità del mondo teatrale quali attori, registi e critici.
In tal senso il festival si propone come momento di partecipazione e aggregazione coinvolta, degli spettatori, chiamati a risvegliare in modo sincero la propria coscienza critica, ma anche degli attori e delle compagnie in gara, che vivranno, oltre allo stimolo adrenalinico di una competizione sana, il frutto benefico della collaborazione. Collaborazione intesa come sinonimo di dibattito fra nuovi stimoli, fra nuove proposte che vogliono risvegliare l’attività teatrale. Mantenendo vivo il senso di concorso, saranno la voglia di far teatro e di promuovere la sua diffusione a far da legante fra chi sente proprio lo spirito di tale forma artistica. Le varie compagnie, che si muovono in un panorama culturale variegato e sperimentale, lavoreranno in una fucina di idee e in un clima che favorirà lo scambio di esperienza e di bagaglio artistico e culturale di ognuno.
Il Festival si svolgerà in sette serate e vedrà l’avvicendarsi di quattro spettacoli a sera, di una lunghezza varia ma che non sarà superiore i 30 minuti.
Il Festival e le sue origini
Il direttore artistico Massimiliano Caprara ci racconta l’inizio e il filo che lega le tre edizioni
«Diciotto anni fa inventai e sperimentai per due edizioni i corti teatrali con l’intento di mappare una generazione di attori, autori e registi, di tastare il polso del nostro teatro nei suoi molteplici aspetti, verificandone la vitalità per individuarne i futuri salti di qualità. Molti tra autori attori e registi presero il volo attraverso la ribalta dei corti teatrali e i corti stessi si affermarono con enorme rapidità come genere in tutta Europa. Certo molti hanno imitato e riprodotto il genere del corto teatrale ma sono riusciti solo in parte, nel suo involucro, a mettere in scena dei corti teatrali , non mai curandosi dell’aspetto principale per cui erano nati e attraverso il quale aggregarono e per certi versi lanciarono un’intera generazione di teatranti. Dopo 18 anni da quelle prime esperienze si impone una nuova scansione del nostro fare teatro, in tempi così mutati e per certi versi così densi di urgenze ed aspettative, occorre dare gli strumenti di piena espressione ai fenomeni sopra e sotto traccia che si muovono e fermentano nell’ambito teatrale , e coinvolgere il pubblico (attraverso il gioco della votazione sui tre generi)nella piena e dinamica riflessione della necessità di un teatro come linguaggio culturale e risposta sociale. Bisogna insomma fare una nuova fotografia delle attuali tendenze e delle potenzialità ancora inespresse di questo nostro teatro riconoscendo e qualificando le nuove generazioni, in un incontro che avvenga non attraverso un vincolo burocratico, non attorno ad un bando distante spesso anni luce dalla nostra professione, ma in scena, sul palcoscenico, ove da sempre le foto escono meglio.»
Presenta
I CORTI TEATRALI
La versione originale del festival che divenne genere teatrale diffuso in tutta Europa
Teatro dell’Angelo (Roma)
20 – 26 aprile 2015
Il Teatro dell’Angelo torna a dar vita al FESTIVAL DEI CORTI TEATRALI che vide la luce nel 1997, partorito dalla mente di Massimiliano Caprara. Organizzato e prodotto per due anni consecutivi presso il Teatro Vittoria torna, a 18 anni di distanza, in una fortunata edizione che vuole riprendere l’assetto originario e adattarlo a successive repliche.
Il Festival avrà inizio lunedì 20 aprile, e terminerà domenica 26 con la premiazione del corto vincitore.
Come nel suo intento originale, il Festival, di nuovo sotto la direzione artistica di Caprara, che da quest’anno si avvale del vitale supporto dell’energica Veronica Milaneschi, torna ad avere la peculiare caratteristica di porsi quale strumento focale per l’individuazione di nuovi talenti teatrali, emergenti e su scala nazionale; il suo fine ultimo è quello di mappare lo stato del teatro contemporaneo in Italia, così da stimolare da un lato gli addetti ai lavori, che potranno attingere dalle produzioni dei colleghi nuovi impulsi creativi, e dall’altro il pubblico degli appassionati romani, che avrà la possibilità di fruire di spettacoli provenienti da altre regioni d’Italia.
Al centro della ricerca che il Festival si pone di perseguire, infatti non vi sarà solo l’attore, creatore della scena e a contatto con la materia scelta, ma anche la sensibilità critica di un nuovo pubblico attento e consapevole, partecipe in modo attivo nel processo di creazione artistica.
Gli spettatori saranno chiamati a dare un triplice giudizio, sulla regia, sull’interpretazione e sul testo, e potranno esprimere le proprie preferenze solo alla fine dell’ultimo spettacolo di ogni giornata. Alla fine della sesta giornata di rappresentazioni verranno proclamati i tre corti vincitori delle singole categorie (regia, testo e interpretazioni), che torneranno in scena il giorno successivo (quello finale) per contendersi la palma del corto vincitore e un premio di 2000 euro; la votazione finale sarà ancora costituita ancora una volta per un 50% dalla scelta del pubblico, e per il restante 50 % dal verdetto di una giuria di settore selezionata e costituita da influenti personalità del mondo teatrale quali attori, registi e critici.
In tal senso il festival si propone come momento di partecipazione e aggregazione coinvolta, degli spettatori, chiamati a risvegliare in modo sincero la propria coscienza critica, ma anche degli attori e delle compagnie in gara, che vivranno, oltre allo stimolo adrenalinico di una competizione sana, il frutto benefico della collaborazione. Collaborazione intesa come sinonimo di dibattito fra nuovi stimoli, fra nuove proposte che vogliono risvegliare l’attività teatrale. Mantenendo vivo il senso di concorso, saranno la voglia di far teatro e di promuovere la sua diffusione a far da legante fra chi sente proprio lo spirito di tale forma artistica. Le varie compagnie, che si muovono in un panorama culturale variegato e sperimentale, lavoreranno in una fucina di idee e in un clima che favorirà lo scambio di esperienza e di bagaglio artistico e culturale di ognuno.
Il Festival si svolgerà in sette serate e vedrà l’avvicendarsi di quattro spettacoli a sera, di una lunghezza varia ma che non sarà superiore i 30 minuti.
Il Festival e le sue origini
Il direttore artistico Massimiliano Caprara ci racconta l’inizio e il filo che lega le tre edizioni
«Diciotto anni fa inventai e sperimentai per due edizioni i corti teatrali con l’intento di mappare una generazione di attori, autori e registi, di tastare il polso del nostro teatro nei suoi molteplici aspetti, verificandone la vitalità per individuarne i futuri salti di qualità. Molti tra autori attori e registi presero il volo attraverso la ribalta dei corti teatrali e i corti stessi si affermarono con enorme rapidità come genere in tutta Europa. Certo molti hanno imitato e riprodotto il genere del corto teatrale ma sono riusciti solo in parte, nel suo involucro, a mettere in scena dei corti teatrali , non mai curandosi dell’aspetto principale per cui erano nati e attraverso il quale aggregarono e per certi versi lanciarono un’intera generazione di teatranti. Dopo 18 anni da quelle prime esperienze si impone una nuova scansione del nostro fare teatro, in tempi così mutati e per certi versi così densi di urgenze ed aspettative, occorre dare gli strumenti di piena espressione ai fenomeni sopra e sotto traccia che si muovono e fermentano nell’ambito teatrale , e coinvolgere il pubblico (attraverso il gioco della votazione sui tre generi)nella piena e dinamica riflessione della necessità di un teatro come linguaggio culturale e risposta sociale. Bisogna insomma fare una nuova fotografia delle attuali tendenze e delle potenzialità ancora inespresse di questo nostro teatro riconoscendo e qualificando le nuove generazioni, in un incontro che avvenga non attraverso un vincolo burocratico, non attorno ad un bando distante spesso anni luce dalla nostra professione, ma in scena, sul palcoscenico, ove da sempre le foto escono meglio.»
lunedì 13 aprile 2015
Le Tate - Teatro Due Roma (Roma)
Ilaria Guidantoni Sabato, 11 Aprile 2015
Dal 9 al 26 aprile. Uno spettacolo la cui cifra caratteristica è l’originalità, per il soggetto, per il coraggio di parlare di un tema inattuale eppure pane quotidiano dei nostri tempi, per il modo nel quale è trattato. A tratti scanzonato, “Le Tate” racconta la commedia della vita con il suo gusto dolce amaro, ritraendo il mondo da punti di vista inconsueti: quello delle donne “al servizio di” che crescono figli non loro; in seconda battuta è una storia raccontata dalla parte delle bambine; in terzo luogo da quella delle nonne. Mancano in effetti le protagoniste, le padrone di casa: assenti. Una metafora sulla capacità di stare ai margini della vita degli altri e sulla grande opportunità di questa condizione. Davvero brave le interpreti, versatili in uno scambio di ruoli che si rincorrono.
Società per Attori presenta
LE TATE
scritto e diretto da Alessandra Panelli
con Barbara Porta, Costanza Castracane, Sofia Diaz
videografia Marco Schiavoni
musiche di Poulenc, Scarlatti e Mozart interpretate dalla pianista Marcelle Meyer
Sul palco del Teatro Due di Roma, approda uno spettacolo che vuol essere in grado di toccare le corde emotive di spettatori di ogni età: "Le Tate". Scritto e diretto da Alessandra Panelli ed interpretato da tre attrici capaci di mettersi totalmente in gioco - Barbara Porta, Costanza Castracane e Sofia Diaz - l’operazione parte dal ritrovamento della Panelli, figlia d’arte e lei stessa autrice, attrice e regista, di un diario della nonna materna, Etre Maria Valori, autrice per diletto e pioniera della condizione della donna all’inizio del secolo scorso. “In questi scritti – racconta la regista - mi addentravo in un mondo lontano, scoprendo nella storia della mia famiglia una controversa tessitura di relazioni umane, acredini, non detti, giudizi taglienti misti a slanci affettivi, passioni inespresse, assenze o invadenti presenze, conflitti generazionali. E più leggevo più mi chiedevo cos’è che mi avesse salvata da tutto questo… La risposta è stata semplice: la costante presenza affettiva di una tata”.
La recensione integrale su Saltinaria.it
Dal 9 al 26 aprile. Uno spettacolo la cui cifra caratteristica è l’originalità, per il soggetto, per il coraggio di parlare di un tema inattuale eppure pane quotidiano dei nostri tempi, per il modo nel quale è trattato. A tratti scanzonato, “Le Tate” racconta la commedia della vita con il suo gusto dolce amaro, ritraendo il mondo da punti di vista inconsueti: quello delle donne “al servizio di” che crescono figli non loro; in seconda battuta è una storia raccontata dalla parte delle bambine; in terzo luogo da quella delle nonne. Mancano in effetti le protagoniste, le padrone di casa: assenti. Una metafora sulla capacità di stare ai margini della vita degli altri e sulla grande opportunità di questa condizione. Davvero brave le interpreti, versatili in uno scambio di ruoli che si rincorrono.
Società per Attori presenta
LE TATE
scritto e diretto da Alessandra Panelli
con Barbara Porta, Costanza Castracane, Sofia Diaz
videografia Marco Schiavoni
musiche di Poulenc, Scarlatti e Mozart interpretate dalla pianista Marcelle Meyer
Sul palco del Teatro Due di Roma, approda uno spettacolo che vuol essere in grado di toccare le corde emotive di spettatori di ogni età: "Le Tate". Scritto e diretto da Alessandra Panelli ed interpretato da tre attrici capaci di mettersi totalmente in gioco - Barbara Porta, Costanza Castracane e Sofia Diaz - l’operazione parte dal ritrovamento della Panelli, figlia d’arte e lei stessa autrice, attrice e regista, di un diario della nonna materna, Etre Maria Valori, autrice per diletto e pioniera della condizione della donna all’inizio del secolo scorso. “In questi scritti – racconta la regista - mi addentravo in un mondo lontano, scoprendo nella storia della mia famiglia una controversa tessitura di relazioni umane, acredini, non detti, giudizi taglienti misti a slanci affettivi, passioni inespresse, assenze o invadenti presenze, conflitti generazionali. E più leggevo più mi chiedevo cos’è che mi avesse salvata da tutto questo… La risposta è stata semplice: la costante presenza affettiva di una tata”.
La recensione integrale su Saltinaria.it
venerdì 10 aprile 2015
Vincent Van Gogh. Un nuovo modo di vedere
Ilaria Guidantoni, 08 Aprile 2015
Milano | Arcobaleno Film Center| Viale Tunisia 11 |Anteprima stampa martedì 7 aprile h 11.00
Trailer qui https://www.youtube.com/watch?v=mqIpCbZqcgk
Nel 125° anniversario della scomparsa dell’artista arriva sul grande schermo il tour cinematografico nel Van Gogh Museum di Amsterdam: un viaggio esclusivo e sorprendente alla scoperta dell’artista che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere.
Un’idea interessante e ben riuscita in grado di coniugare la funzionalità didattica con quella emozionale e più raffinata per un pubblico già informato. Il risultato è una docufiction pregevole che alterna il film autobiografico sulla vita di Van Gogh alla visita virtuale al museo di Amsterdam e al viaggio tra i luoghi del grande artista. Uno degli artisti più amati che in vita non fu capito dalla parte di Vincent: l’uomo dietro l’artista, l’uomo per il quale l’arte fu la ricerca di se stesso e del mondo, tra autoritratti e pitture di paesaggio; la vocazione consapevole di essere predicatore religioso e la scelta di diventare artista, inarrestabile nel viaggio dentro se stesso attraverso la sperimentazione del colore. Una ricerca sul colore dell’esistenza finita nel buio.
Il Museo Van Gogh di Amsterdam è una delle gallerie più popolari del mondo e Van Gogh è uno degli artisti più amati di tutti i tempi. Oltre che artista sorprendente, Vincent van Gogh è stato un prolifico scrittore di lettere. Per questo il film ne ripercorre i momenti rivelatori, con la partecipazione straordinaria dell’attore Jamie de Courcey a dare movenze e letture alla corrispondenza dell’artista, soprattutto nelle commuoventi ed illuminanti lettere dedicate al fratello Théo (in Italia le Lettere a Theo di Vincent van Gogh sono pubblicate da Guanda).
Nessun artista nasce dal nulla ma da se stesso e dal proprio mondo familiare e sociale. L’idea di proporre un percorso emozionale dell’arte, non meramente descrittivo e informativo-nozionistico è un esperimento a tappe che ha toccato altri luoghi celebri e interesserà diversi artisti, realizzato da Arts Alliance con il supporto di Sotheby’s. La tappa milanese, in anteprima, che vedrà la proiezione del film in una giornata unica italiana il 14 aprile 2015 – con cinque cinema interessati a Roma – ci racconta un artista lunatico che nei momenti di sconforto e di ira lanciava il colore.
Emile Zola, lo scrittore del Naturalismo francese, chiedendosi chi sia l’artista, risponde che è semplicemente e prima di tutto un uomo che vuole vivere la vita fino in fondo, senza secondi fini, come un bambino; anzi come un artista.
L'articolo integrale su Saltinaria.it
Milano | Arcobaleno Film Center| Viale Tunisia 11 |Anteprima stampa martedì 7 aprile h 11.00
Trailer qui https://www.youtube.com/watch?v=mqIpCbZqcgk
Nel 125° anniversario della scomparsa dell’artista arriva sul grande schermo il tour cinematografico nel Van Gogh Museum di Amsterdam: un viaggio esclusivo e sorprendente alla scoperta dell’artista che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere.
Un’idea interessante e ben riuscita in grado di coniugare la funzionalità didattica con quella emozionale e più raffinata per un pubblico già informato. Il risultato è una docufiction pregevole che alterna il film autobiografico sulla vita di Van Gogh alla visita virtuale al museo di Amsterdam e al viaggio tra i luoghi del grande artista. Uno degli artisti più amati che in vita non fu capito dalla parte di Vincent: l’uomo dietro l’artista, l’uomo per il quale l’arte fu la ricerca di se stesso e del mondo, tra autoritratti e pitture di paesaggio; la vocazione consapevole di essere predicatore religioso e la scelta di diventare artista, inarrestabile nel viaggio dentro se stesso attraverso la sperimentazione del colore. Una ricerca sul colore dell’esistenza finita nel buio.
Il Museo Van Gogh di Amsterdam è una delle gallerie più popolari del mondo e Van Gogh è uno degli artisti più amati di tutti i tempi. Oltre che artista sorprendente, Vincent van Gogh è stato un prolifico scrittore di lettere. Per questo il film ne ripercorre i momenti rivelatori, con la partecipazione straordinaria dell’attore Jamie de Courcey a dare movenze e letture alla corrispondenza dell’artista, soprattutto nelle commuoventi ed illuminanti lettere dedicate al fratello Théo (in Italia le Lettere a Theo di Vincent van Gogh sono pubblicate da Guanda).
Nessun artista nasce dal nulla ma da se stesso e dal proprio mondo familiare e sociale. L’idea di proporre un percorso emozionale dell’arte, non meramente descrittivo e informativo-nozionistico è un esperimento a tappe che ha toccato altri luoghi celebri e interesserà diversi artisti, realizzato da Arts Alliance con il supporto di Sotheby’s. La tappa milanese, in anteprima, che vedrà la proiezione del film in una giornata unica italiana il 14 aprile 2015 – con cinque cinema interessati a Roma – ci racconta un artista lunatico che nei momenti di sconforto e di ira lanciava il colore.
Emile Zola, lo scrittore del Naturalismo francese, chiedendosi chi sia l’artista, risponde che è semplicemente e prima di tutto un uomo che vuole vivere la vita fino in fondo, senza secondi fini, come un bambino; anzi come un artista.
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Martedì 31 marzo 2015 - Serata conclusiva del Festival film francofono a Roma
Ilaria Guidantoni, 02 Aprile 2015
La malattia e il dolore conquistano:
a "Ghadi" il premio giuria e a "Gabrielle" quello del pubblico.
Sì è concluso il Festival del cinema francofono a Roma iniziato martedì 24 marzo con "Timbuktù", fuori concorso. Il premio della giuria, presieduta da Romano Milano, al film libanese "Ghadi" che ho molto apprezzato, per aver trattato con mano leggera ma non meno efficace l'handicap, la malattia e il dolore. Con lo strumento della favola spinge a riflettere sulle intolleranze, superstizioni e superficialità di un piccolo villaggio del Libano che potrebbe essere ogni luogo umano.
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La malattia e il dolore conquistano:
a "Ghadi" il premio giuria e a "Gabrielle" quello del pubblico.
Sì è concluso il Festival del cinema francofono a Roma iniziato martedì 24 marzo con "Timbuktù", fuori concorso. Il premio della giuria, presieduta da Romano Milano, al film libanese "Ghadi" che ho molto apprezzato, per aver trattato con mano leggera ma non meno efficace l'handicap, la malattia e il dolore. Con lo strumento della favola spinge a riflettere sulle intolleranze, superstizioni e superficialità di un piccolo villaggio del Libano che potrebbe essere ogni luogo umano.
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Il Festival del film francofono di Roma presenta “Mammejong”
Ilaria Guidantoni Giovedì, 02 Aprile 2015
Sabato 28 marzo 2015 alle 17.00
Incontro con il regista e l’attore protagonista
Di Jacques Monitor con Max Thommes, Myriam Mulle e Mja Juric
Lussemburgo 2014
Istitut français centre Saint Louis, Largo Toniolo
Un film che scava ancora nei rapporti familiari complessi, toccando il lato oscuro dell’affettività e della sessualità, come il ricatto dei sentimenti in nome dell’affetto e della dedizione. Un’ambientazione nella noia e nel degrado di una piccola cittadina nordica restituiscono un quadro desolante e allo stesso tempo claustrofobico del dolore subito che diventa castrazione altrui fino alla metafora della liberazione e della rinascita che solo la fuga può garantire. Lavoro complesso e molto ben interpretato da tutti gli attori protagonisti. Duro e senza sconti, senza limature; senza concessioni al sogno e alla dolce. Un film che va digerito e sul quale riflettere.
I francesi sul tema del fils à maman, del cocco di mamma in versione noir – questa la traduzione del titolo – ne avrebbero fatto un film morboso, intrigante, con qualche concessione all’estetismo e perfino ammiccante. Come non immaginare una Isabelle Hupert? Ma qui siamo in Lussemburgo: la scelta è acuta, asciutta e senza ornamento. Non ci sono bellezze conturbanti magari anche se nella miseria. Nulla è lasciato al sogno, perfino le scene di sesso – ché di erotismo non si può parlare – sono scabre, non volgari; anzi perfino allegre. Sono certamente scene d’amore, ma dure.
“Mammejong” è il primo lungo metraggio di Jacques Monitor, uscito nelle sale in Lussemburgo lo scorso gennaio. Con una certa esperienza nel corto metraggio e nelle tematiche drammatiche, il regista si misura con tema arduo. In effetti ci ha raccontato che l’idea nasce da una storia più complessa perché il solo rapporto madre-figlio sembrava un pretesto troppo “piccolo” per far decollare un film: poi è stato fatto un lavoro graduale di riduzione dei personaggi e delle tematiche, così come di concentrazione.
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Sabato 28 marzo 2015 alle 17.00
Incontro con il regista e l’attore protagonista
Di Jacques Monitor con Max Thommes, Myriam Mulle e Mja Juric
Lussemburgo 2014
Istitut français centre Saint Louis, Largo Toniolo
Un film che scava ancora nei rapporti familiari complessi, toccando il lato oscuro dell’affettività e della sessualità, come il ricatto dei sentimenti in nome dell’affetto e della dedizione. Un’ambientazione nella noia e nel degrado di una piccola cittadina nordica restituiscono un quadro desolante e allo stesso tempo claustrofobico del dolore subito che diventa castrazione altrui fino alla metafora della liberazione e della rinascita che solo la fuga può garantire. Lavoro complesso e molto ben interpretato da tutti gli attori protagonisti. Duro e senza sconti, senza limature; senza concessioni al sogno e alla dolce. Un film che va digerito e sul quale riflettere.
I francesi sul tema del fils à maman, del cocco di mamma in versione noir – questa la traduzione del titolo – ne avrebbero fatto un film morboso, intrigante, con qualche concessione all’estetismo e perfino ammiccante. Come non immaginare una Isabelle Hupert? Ma qui siamo in Lussemburgo: la scelta è acuta, asciutta e senza ornamento. Non ci sono bellezze conturbanti magari anche se nella miseria. Nulla è lasciato al sogno, perfino le scene di sesso – ché di erotismo non si può parlare – sono scabre, non volgari; anzi perfino allegre. Sono certamente scene d’amore, ma dure.
“Mammejong” è il primo lungo metraggio di Jacques Monitor, uscito nelle sale in Lussemburgo lo scorso gennaio. Con una certa esperienza nel corto metraggio e nelle tematiche drammatiche, il regista si misura con tema arduo. In effetti ci ha raccontato che l’idea nasce da una storia più complessa perché il solo rapporto madre-figlio sembrava un pretesto troppo “piccolo” per far decollare un film: poi è stato fatto un lavoro graduale di riduzione dei personaggi e delle tematiche, così come di concentrazione.
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mercoledì 1 aprile 2015
Nel tempio di Elefantina - Teatro 8 Studios, ex Stabilimenti Cinematografici De Paolis (Roma)
Ilaria Guidantoni, 31 Marzo 2015
Un nuovo spettacolo di Raffaele Curi per gli “Esperimenti di Quaresima” della Fondazione Fendi con Domiziana Giordano, performance nella quale il pubblico, in piedi, è immerso per un’ora in un clima sospeso tra anamnesi mitica e post-moderno: dallo Zoroastrismo ai miti della fertilità, alla vita violenta e aggressiva contro le donne dell’India di oggi. Immagini e parole che scorrono su uno schermo a tutta parete; personaggi muti e nudi su una passerella appesa, fino alla celebrazione della vita, dell’uovo sacro, prima che sia troppo tardi, al di là degli schemi e delle regole.
NEL TEMPIO DI ELEFANTINA
“Esperimenti di Quaresima” della Fondazione Fendi
un nuovo spettacolo scritto e diretto da Raffaele Curi
con Brenno Placido, Federico Le Pera, Massimo Giammarco, Andrea Fachinetti, Valentina Beotti, Giulia Galiani, Laura Gigante, Chiara Poletti, Viola Viu
e con Domiziana Giordano
Un esperimento rivolto esplicitamente ad un pubblico emotivamente maturo, come recita l’invito. Certamente aperto, non potrei dire all’insolito, ché ormai nel teatro contemporaneo i nudi sono più dei vestiti. In un loft immenso, nero, immerso nella semi-oscurità il pubblico attende in piedi: sullo sfondo uno schermo gigante, ventidue metri per dieci, e un palcoscenico-passerella che divide in due il Teatro 8 degli Studios, ex stabilimenti cinematografici De Paolis, sulla Tiburtina. "Nel tempio di Elefantina", il nuovo spettacolo scritto e diretto da Raffaele Curi per gli "Esperimenti di Quaresima" della Fondazione Alda Fendi, si presenta così durante le prove. Il pubblico potrà vederlo gratis, con prenotazione telefonica, per quattro sere, da lunedì 30 marzo a giovedì 2 aprile.
Sulla passerella immobile una fila di uomini, sik, vestiti di bianco dai turbanti colorati, immobili. Con la musica muovono passi e sfilano mentre sagome di elefanti scorrono sullo schermo.
La recensione integrale su Saltinaria.it
Un nuovo spettacolo di Raffaele Curi per gli “Esperimenti di Quaresima” della Fondazione Fendi con Domiziana Giordano, performance nella quale il pubblico, in piedi, è immerso per un’ora in un clima sospeso tra anamnesi mitica e post-moderno: dallo Zoroastrismo ai miti della fertilità, alla vita violenta e aggressiva contro le donne dell’India di oggi. Immagini e parole che scorrono su uno schermo a tutta parete; personaggi muti e nudi su una passerella appesa, fino alla celebrazione della vita, dell’uovo sacro, prima che sia troppo tardi, al di là degli schemi e delle regole.
NEL TEMPIO DI ELEFANTINA
“Esperimenti di Quaresima” della Fondazione Fendi
un nuovo spettacolo scritto e diretto da Raffaele Curi
con Brenno Placido, Federico Le Pera, Massimo Giammarco, Andrea Fachinetti, Valentina Beotti, Giulia Galiani, Laura Gigante, Chiara Poletti, Viola Viu
e con Domiziana Giordano
Un esperimento rivolto esplicitamente ad un pubblico emotivamente maturo, come recita l’invito. Certamente aperto, non potrei dire all’insolito, ché ormai nel teatro contemporaneo i nudi sono più dei vestiti. In un loft immenso, nero, immerso nella semi-oscurità il pubblico attende in piedi: sullo sfondo uno schermo gigante, ventidue metri per dieci, e un palcoscenico-passerella che divide in due il Teatro 8 degli Studios, ex stabilimenti cinematografici De Paolis, sulla Tiburtina. "Nel tempio di Elefantina", il nuovo spettacolo scritto e diretto da Raffaele Curi per gli "Esperimenti di Quaresima" della Fondazione Alda Fendi, si presenta così durante le prove. Il pubblico potrà vederlo gratis, con prenotazione telefonica, per quattro sere, da lunedì 30 marzo a giovedì 2 aprile.
Sulla passerella immobile una fila di uomini, sik, vestiti di bianco dai turbanti colorati, immobili. Con la musica muovono passi e sfilano mentre sagome di elefanti scorrono sullo schermo.
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Anteprima Stampa di VINCENT VAN GOGH. Un nuovo modo di vedere
Anteprima Stampa di
VINCENT VAN GOGH.
Un nuovo modo di vedere
Milano | Arcobaleno Film Center| Viale Tunisia 11 |Martedì 7 aprile h 11.00
Nel 125° anniversario della scomparsa dell’artista arriva sul grande schermo il tour cinematografico nel Van Gogh Museum di Amsterdam: un viaggio esclusivo e sorprendente alla scoperta dell’artista che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere
Il Museo Van Gogh di Amsterdam è una delle gallerie più popolari del mondo e Van Gogh è uno degli artisti più amati di tutti i tempi. Oltre che artista sorprendente, Vincent van Gogh è stato un prolifico scrittore di lettere. Per questo il film ne ripercorre i momenti rivelatori, con la partecipazione straordinaria dell’attore Jamie de Courcey a dare movenze e letture alla corrispondenza dell’artista, soprattutto nelle commuoventi ed illuminanti lettere dedicate al fratello Théo (in Italia le Lettere a Theo di Vincent van Gogh sono pubblicate da Guanda).
VINCENT VAN GOGH.
Un nuovo modo di vedere
Milano | Arcobaleno Film Center| Viale Tunisia 11 |Martedì 7 aprile h 11.00
Nel 125° anniversario della scomparsa dell’artista arriva sul grande schermo il tour cinematografico nel Van Gogh Museum di Amsterdam: un viaggio esclusivo e sorprendente alla scoperta dell’artista che ha rivoluzionato il nostro modo di vedere
Il Museo Van Gogh di Amsterdam è una delle gallerie più popolari del mondo e Van Gogh è uno degli artisti più amati di tutti i tempi. Oltre che artista sorprendente, Vincent van Gogh è stato un prolifico scrittore di lettere. Per questo il film ne ripercorre i momenti rivelatori, con la partecipazione straordinaria dell’attore Jamie de Courcey a dare movenze e letture alla corrispondenza dell’artista, soprattutto nelle commuoventi ed illuminanti lettere dedicate al fratello Théo (in Italia le Lettere a Theo di Vincent van Gogh sono pubblicate da Guanda).
“Gabrielle” film di Louise Archambault
Ilaria Guidantoni, 28 Marzo 2015
A metà tra il docufilm e il film intimistico mette a nudo la difficoltà e la voglia, ad un tempo, di amore tra due ragazzi con un handicap, la loro contagiosa voglia di vivere, di ridere di nulla e allo stesso tempo la richiesta di normalità e di essere rispettati nel diritto a scegliere. Il film – che a tratti sembra non aver fatto una scelta precisa nello stile – mette a nudo anche i cosiddetti “normali”, la difficoltà di essere genitore in particolare. Duro e tenero ad un tempo, è un inno ai sentimenti, al desiderio di sognare. Ancora un film sul potere della musica di superare le barriere. Molto credibili le interpretazioni.
Il film canadese, molto applaudito dal pubblico, emoziona e i suoi oltre cento minuti di lentezza, al ritmo di un gruppo di ragazzi con vari problemi di salute psico-fisica, non annoia. Non è un film lento, ma dai tempi dilatatati che nei momenti di maggior emozione, intensità, nell’intimità cercata e rubata tra i due protagonisti crea una sospensione, mentre la musica si dissolve fino ad una sensazione ovattata di fondo. E’ un film che va dritto ad un tema sociale delicato e in fondo senza soluzione. Qualsiasi sia la nostra opinione, non appena pronunciata, non può che sembrarci inadeguata perché emerge la lacerazione tra la responsabilità di protezione di persone deboli e il loro bisogno di libertà.
Gabrielle ha vent’anni ed è affetta dalla sindrome di Williams; proveniente da una famiglia di musicisti è lei ad avere la vera dote musicale. Il padre è inesistente, la mamma una donna assorbita dal lavoro che ha consegnato Gabrielle ad un centro sperando che sia felice e non intralci la sua vita ché lei non sarebbe in grado di occuparsene; mentre è la sorella Sophie ad occuparsene e, forse comprensibilmente, a non volere figli. Il “male” di Gabrielle sembra limitare la vita della sorella, costringendola, grazie anche allo stimolo che le offre il fidanzato, a riflettere sulla paura nascosta dietro la responsabilità. Come uno strumento inconsapevole della maieutica Gabrielle consente alla sorella di fare la propria scelta e di partire, per l’India e mettendo la madre di fronte al proprio dovere. Gabrielle, animata da una voglia di vivere contagiosa, si innamora di un ragazzo come lei, Martin, che la ricambia teneramente e la desidera ma, più fragile, viene schiacciato da una madre iperprotettiva che gli impedisce di vivere il proprio sentimento, spaventata dal fatto che anche le persone “malate” possano vivere liberamente la propria sensualità.
La recensione integrale su Saltinaria.it
A metà tra il docufilm e il film intimistico mette a nudo la difficoltà e la voglia, ad un tempo, di amore tra due ragazzi con un handicap, la loro contagiosa voglia di vivere, di ridere di nulla e allo stesso tempo la richiesta di normalità e di essere rispettati nel diritto a scegliere. Il film – che a tratti sembra non aver fatto una scelta precisa nello stile – mette a nudo anche i cosiddetti “normali”, la difficoltà di essere genitore in particolare. Duro e tenero ad un tempo, è un inno ai sentimenti, al desiderio di sognare. Ancora un film sul potere della musica di superare le barriere. Molto credibili le interpretazioni.
Il film canadese, molto applaudito dal pubblico, emoziona e i suoi oltre cento minuti di lentezza, al ritmo di un gruppo di ragazzi con vari problemi di salute psico-fisica, non annoia. Non è un film lento, ma dai tempi dilatatati che nei momenti di maggior emozione, intensità, nell’intimità cercata e rubata tra i due protagonisti crea una sospensione, mentre la musica si dissolve fino ad una sensazione ovattata di fondo. E’ un film che va dritto ad un tema sociale delicato e in fondo senza soluzione. Qualsiasi sia la nostra opinione, non appena pronunciata, non può che sembrarci inadeguata perché emerge la lacerazione tra la responsabilità di protezione di persone deboli e il loro bisogno di libertà.
Gabrielle ha vent’anni ed è affetta dalla sindrome di Williams; proveniente da una famiglia di musicisti è lei ad avere la vera dote musicale. Il padre è inesistente, la mamma una donna assorbita dal lavoro che ha consegnato Gabrielle ad un centro sperando che sia felice e non intralci la sua vita ché lei non sarebbe in grado di occuparsene; mentre è la sorella Sophie ad occuparsene e, forse comprensibilmente, a non volere figli. Il “male” di Gabrielle sembra limitare la vita della sorella, costringendola, grazie anche allo stimolo che le offre il fidanzato, a riflettere sulla paura nascosta dietro la responsabilità. Come uno strumento inconsapevole della maieutica Gabrielle consente alla sorella di fare la propria scelta e di partire, per l’India e mettendo la madre di fronte al proprio dovere. Gabrielle, animata da una voglia di vivere contagiosa, si innamora di un ragazzo come lei, Martin, che la ricambia teneramente e la desidera ma, più fragile, viene schiacciato da una madre iperprotettiva che gli impedisce di vivere il proprio sentimento, spaventata dal fatto che anche le persone “malate” possano vivere liberamente la propria sensualità.
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