Scritto da Ilaria Guidantoni Sabato, 19 Dicembre 2015
Originale, straniante, spiazzante, provocatorio, allucinatorio, per certi aspetti surreale, nitido, carnale e a tratti nebuloso. E’ tutto questo ma sfugge a ogni definizione. E’ la confessione delirante e strabiliante ad un tempo di un kamikaze, in una inedita congiunzione del sacro con il profano. Esplosivo, per l’appunto, da risultare a tratti grottesco se non fosse drammatico. Un’interpretazione di alto profilo e una prestazione singolare. Woody Neri porta in scena "Kamikaze Number Five" di Giuseppe Massa, con la regia di Giuseppe Isgrò, al Teatro dell'Orologio fino a domenica 20 dicembre.
KAMIKAZE NUMBER FIVE
di Giuseppe Massa
con Woody Neri
regia Giuseppe Isgrò
dramaturg Francesca Marianna Consonni
suono Giovanni Isgrò
sarta Camilla Magnani
produzione Phoebe Zeitgeist e Vanaclu'
in coproduzione con Progetto Goldstein
in collaborazione con Teatro dell'Orologio, Associazione Teatrale Pistoiese, La Corte Ospitale Rubiera, Spazio OFF Trento
La piccola sala, dal soffitto basso, dipinta di nero, senza separazione tra palcoscenico e pubblico, un piano sotto terra del Teatro dell’Orologio di Roma, è l’abitacolo perfetto per rendere la pièce più che credibile. Sufficientemente angusto da rendere inquietante una performance che non sembra recitata soprattutto di questi tempi. Cosa passa nella testa di un suicida omicida stragista che può colpire perfino la sua casa? Ce lo saremo chiesto tante volte in questi ultimi tempi, dove la parola kamikaze è una delle più usate ed abusate.
Siamo in un clima di sospensione: è il dies irae, il giorno del giudizio, dalla parte del protagonista, un monologo allucinato con Dio, l’angelo, con il proprio padre, la propria madre e perfino una figlia. E’ una dichiarazione d’odio, di chi non ha più un cuore perché aveva fame e se l’è mangiato. E’ la guerra dichiarata ai maiali, in particolare al presidente dei maiali, che sono tutti i non credenti, specie forse quelli che di maiali si cibano. E’ una lotta senza quartiere, senza ragioni, contro tutto quello che non è esattamente l’interpretazione Coranica, secondo questa mostruosa deformità che il mondo chiama Isis e che meglio sarebbe definire Da’ich o comunque lo si voglia chiamare: terrorismo di matrice sedicente islamista.
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lunedì 21 dicembre 2015
lunedì 14 dicembre 2015
Processo, morte e santificazione di un Pulcinella che non voleva portare la maschera - Dal 18 al 20 gennaio a Roma
Cosa accadrebbe se Pulcinella si stancasse di portare la maschera? Ovviamente sarebbe processato. Il contraddittorio inizia e nell'aula di un folle tribunale si alternano personaggi iconici della commedia dell'arte, stereotipi del teatro contemporaneo e molti altri.
Otto giovani attori interpreti di caricature grottesche e ridicole, giochi di parole, doppi sensi, il linguaggio del corpo e la farsa, si parte dalla commedia e si sconfina nel melodramma.
Pulcinella è tutti e nessuno: sciocco, saltimbanco, servo e padrone, innamorato, malinconico, schiavo di se stesso e della sua umanità.
Si gioca con il ritmo, la poesia, i volti e le maschere. L'obiettivo è far ridere, commuovere, riflettere e alla fine, forse, niente è davvero come sembra.
Note di regia - Donatella Barbagallo
Lo spettacolo è un viaggio all'interno di un mondo sintetizzato dalla musica, dal ritmo e dalle parole. La maschera del titolo non è semplicemente la maschera da intendere come mascheramento, camuffamento, camouflage o come mera attività performativa, la maschera siamo noi.
L'idea che perseguo nello spettacolo è quella di rivelare "pezzi" di se stessi utilizzando anche la metafora circense.
Processo, morte e santificazione di un Pulcinella che non voleva portare la maschera
di Davide Sacco
con Donatella Barbagallo, Giulio Cancelli, Stefano Chiliberti,
Chiara Della Rossa, Stefano Flamia, Giuseppe Abramo,
Bruno Monico e Valeria Palma
Regia Donatella Barbagallo
TEATRO AMBRA ALLA GARBATELLA
Piazza Giovanni da Triora 15
Lunedì 18, martedì 19, mercoledì 20 gennaio 2016 ore 21.00
per prenotazioni: info@ambragarbatella.com
Otto giovani attori interpreti di caricature grottesche e ridicole, giochi di parole, doppi sensi, il linguaggio del corpo e la farsa, si parte dalla commedia e si sconfina nel melodramma.
Pulcinella è tutti e nessuno: sciocco, saltimbanco, servo e padrone, innamorato, malinconico, schiavo di se stesso e della sua umanità.
Si gioca con il ritmo, la poesia, i volti e le maschere. L'obiettivo è far ridere, commuovere, riflettere e alla fine, forse, niente è davvero come sembra.
Note di regia - Donatella Barbagallo
Lo spettacolo è un viaggio all'interno di un mondo sintetizzato dalla musica, dal ritmo e dalle parole. La maschera del titolo non è semplicemente la maschera da intendere come mascheramento, camuffamento, camouflage o come mera attività performativa, la maschera siamo noi.
L'idea che perseguo nello spettacolo è quella di rivelare "pezzi" di se stessi utilizzando anche la metafora circense.
Processo, morte e santificazione di un Pulcinella che non voleva portare la maschera
di Davide Sacco
con Donatella Barbagallo, Giulio Cancelli, Stefano Chiliberti,
Chiara Della Rossa, Stefano Flamia, Giuseppe Abramo,
Bruno Monico e Valeria Palma
Regia Donatella Barbagallo
TEATRO AMBRA ALLA GARBATELLA
Piazza Giovanni da Triora 15
Lunedì 18, martedì 19, mercoledì 20 gennaio 2016 ore 21.00
per prenotazioni: info@ambragarbatella.com
“Bellezza divina” tra Van Gogh, Chagall e Fontana. Firenze, Palazzo Strozzi
Scritto da Ilaria Guidantoni Domenica, 13 Dicembre 2015
Main sponsor Arcidiocesi di Firenze e Banca Cassa di Risparmio di Firenze
24 settembre 2014/24 gennaio 2016
L’arte sacra e la sua rivoluzione dalla seconda metà Ottocento alla prima metà del Novecento: il passaggio dal sacro trascendente alla storicizzazione della sacralità con al centro il Cristo come uomo. Un percorso ricco e articolato che disegna la centralità della sacralità come ricerca spirituale più che religiosa nell’artista contemporaneo e la sua contraddittorietà anche nella rappresentazione.
Una mostra solo apparentemente classica che attraversa un secolo rivoluzionario nel rapporto tra l’uomo e il divino: il travaglio interiore che porta gli artisti a cercare la spiritualità prima e anche indipendentemente dalla religiosità si manifesta nel lavoro artistico, cambiando i connotati della rappresentazione sacrale. Una mostra ricca e articolata con un allestimento ben scandito nelle sessioni tematiche che cercano di cogliere i vari aspetti della sacra rappresentazione e finalmente una buona illuminazione delle opere che non è per nulla scontata.
Il percorso inizia con quadri di grandi e grandissime dimensioni quando la pala d’altare è ancora la forma dominante nella rappresentazione sacra e riunisce artisti italiani tra i quali Domenico Morelli con la “caduta di San Paolo”, con la pennellata dinamica di ascendenza impressionista e la luce che diventa protagonista, nel segno del realismo, non teatrale, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova; e internazionali come Vincent Van Gogh che con la sua “pietà” dei Musei Vaticani “firma” la locandina dell’esposizione, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernest, Georges Roualt, Henri Matisse ed Elisabeth Chpalin, artista francese di Fontenbleau naturalizzata fiorentina, di grande raffinatezza che nella sua Madonna con bambino imprime ai corpi un movimento rotatorio nell’avvolgenza del velo rosso e risente della lezione dei nabis. Le tematiche spaziano dalla sacra famiglia, all’annunciazione all’iconografia della Madonna riscoperta nella sua centralità nel corso dell’Ottocento dove alla suggestione mistica, si aggiunge il recupero della lezione stilnovistica della donna angelicata e della virtù femminile quale musa dell’arte e del percorso spirituale dell’artista nonché una nuova sensualità anche conturbante come nel caso delle due opere in mostra di Edvard Munch con la cornice attraversata da spermatozoi.
La recensione integrale su Saltinaria.it
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24 settembre 2014/24 gennaio 2016
L’arte sacra e la sua rivoluzione dalla seconda metà Ottocento alla prima metà del Novecento: il passaggio dal sacro trascendente alla storicizzazione della sacralità con al centro il Cristo come uomo. Un percorso ricco e articolato che disegna la centralità della sacralità come ricerca spirituale più che religiosa nell’artista contemporaneo e la sua contraddittorietà anche nella rappresentazione.
Una mostra solo apparentemente classica che attraversa un secolo rivoluzionario nel rapporto tra l’uomo e il divino: il travaglio interiore che porta gli artisti a cercare la spiritualità prima e anche indipendentemente dalla religiosità si manifesta nel lavoro artistico, cambiando i connotati della rappresentazione sacrale. Una mostra ricca e articolata con un allestimento ben scandito nelle sessioni tematiche che cercano di cogliere i vari aspetti della sacra rappresentazione e finalmente una buona illuminazione delle opere che non è per nulla scontata.
Il percorso inizia con quadri di grandi e grandissime dimensioni quando la pala d’altare è ancora la forma dominante nella rappresentazione sacra e riunisce artisti italiani tra i quali Domenico Morelli con la “caduta di San Paolo”, con la pennellata dinamica di ascendenza impressionista e la luce che diventa protagonista, nel segno del realismo, non teatrale, Gaetano Previati, Felice Casorati, Gino Severini, Renato Guttuso, Lucio Fontana, Emilio Vedova; e internazionali come Vincent Van Gogh che con la sua “pietà” dei Musei Vaticani “firma” la locandina dell’esposizione, Jean-François Millet, Edvard Munch, Pablo Picasso, Max Ernest, Georges Roualt, Henri Matisse ed Elisabeth Chpalin, artista francese di Fontenbleau naturalizzata fiorentina, di grande raffinatezza che nella sua Madonna con bambino imprime ai corpi un movimento rotatorio nell’avvolgenza del velo rosso e risente della lezione dei nabis. Le tematiche spaziano dalla sacra famiglia, all’annunciazione all’iconografia della Madonna riscoperta nella sua centralità nel corso dell’Ottocento dove alla suggestione mistica, si aggiunge il recupero della lezione stilnovistica della donna angelicata e della virtù femminile quale musa dell’arte e del percorso spirituale dell’artista nonché una nuova sensualità anche conturbante come nel caso delle due opere in mostra di Edvard Munch con la cornice attraversata da spermatozoi.
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giovedì 10 dicembre 2015
3M, la fotografa che fotografava donne…dello spettacolo fuori dello spettacolo
Scritto da Ilaria Guidantoni Martedì, 08 Dicembre 2015
Un’esposizione a colori di formato quadrato di Chiara Samugheo
In occasione della fine dell’anno la Fondazione 3M Italia, terminato il lavoro di aggiornamento dell’archivio fotografico, ha presentato nella sua sede romana ventidue stampe a colori di Chiara Samugheo, prima donna italiana a diventare fotografa professionista, nata a Bari il 25 marzo 1935 come Chiara Paparella.
L’abbiamo visitata insieme al Segretario generale della Fondazione Daniela Aleggiani e il Curatore della mostra Roberto Mutti che ci ha illustrato la particolarità di questa fotografa, donna che ha ritratto donne dello spettacolo, ma fuori dal set in posizioni ed espressioni insolite, confidenziali, domestiche, fuori dal concetto del “posato”, certamente innovativo per l’epoca. Inoltre da considerare il formato quadrato, decisamente nuovo e anche, a mio parere, la tecnica per cui lo sfondo che contestualizza l’immagine in un reale vissuto, è sfuocato come nella tecnica cinematografica più recente importata dagli Stati Uniti. Come ci ha raccontato Mutti l’amicizia e, talora, la confidenza con le protagoniste delle foto ha consentito un’ambientazione insolita, intima e anche un’espressività che non riesce ad emergere solitamente in un ritratto.
“L’apparenza e il senso”, questo il titolo dell’esposizione, rivela qualcosa di intrigante e incantevole nei ritratti che Chiara Samugheo ha scattato negli anni Sessanta e Settanta ad attrici, cantanti, soubrette – quali tra cui Liz Taylor, Shirley MacLaine, Monica Vitti, Sophia Loren, Claudia Cardinale e Gina Lollobrigida - che, nell’Italia di quell’epoca, costituivano il sistema di un divismo prevalentemente legato al mondo del cinema. «Se, nonostante la distanza temporale, queste immagini mantengono intatta la loro forza comunicativa – ha precisato Mutti - è perché sono state realizzate con uno stile molto personale che nasconde dietro la sua apparente semplicità una raffinata e attenta elaborazione espressiva.
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Un’esposizione a colori di formato quadrato di Chiara Samugheo
In occasione della fine dell’anno la Fondazione 3M Italia, terminato il lavoro di aggiornamento dell’archivio fotografico, ha presentato nella sua sede romana ventidue stampe a colori di Chiara Samugheo, prima donna italiana a diventare fotografa professionista, nata a Bari il 25 marzo 1935 come Chiara Paparella.
L’abbiamo visitata insieme al Segretario generale della Fondazione Daniela Aleggiani e il Curatore della mostra Roberto Mutti che ci ha illustrato la particolarità di questa fotografa, donna che ha ritratto donne dello spettacolo, ma fuori dal set in posizioni ed espressioni insolite, confidenziali, domestiche, fuori dal concetto del “posato”, certamente innovativo per l’epoca. Inoltre da considerare il formato quadrato, decisamente nuovo e anche, a mio parere, la tecnica per cui lo sfondo che contestualizza l’immagine in un reale vissuto, è sfuocato come nella tecnica cinematografica più recente importata dagli Stati Uniti. Come ci ha raccontato Mutti l’amicizia e, talora, la confidenza con le protagoniste delle foto ha consentito un’ambientazione insolita, intima e anche un’espressività che non riesce ad emergere solitamente in un ritratto.
“L’apparenza e il senso”, questo il titolo dell’esposizione, rivela qualcosa di intrigante e incantevole nei ritratti che Chiara Samugheo ha scattato negli anni Sessanta e Settanta ad attrici, cantanti, soubrette – quali tra cui Liz Taylor, Shirley MacLaine, Monica Vitti, Sophia Loren, Claudia Cardinale e Gina Lollobrigida - che, nell’Italia di quell’epoca, costituivano il sistema di un divismo prevalentemente legato al mondo del cinema. «Se, nonostante la distanza temporale, queste immagini mantengono intatta la loro forza comunicativa – ha precisato Mutti - è perché sono state realizzate con uno stile molto personale che nasconde dietro la sua apparente semplicità una raffinata e attenta elaborazione espressiva.
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lunedì 7 dicembre 2015
Il Bardo ad Aquileia
Scritto da Ilaria Guidantoni Giovedì, 03 Dicembre 2015
Dal 6 dicembre 2015 al 31 gennaio 2016
Museo Archeologico Nazionale di Aquileia “Il Bardo ad Aquileia”
Quando l’arte diventa una risposta all’accoglienza: la prima tappa del viaggio nell’archeologia ferita del Mediterraneo. Il gemellaggio delle opere del Bardo di Tunisi con il Museo archeologico di Aquileia è un simbolo, all’indomani della tragedia dell’archeologia ferita dal terrorismo, metafora della distruzione della società da una parte, di rinnovata tolleranza e accoglienza dall’altra con l’obiettivo che il Mediterraneo torni ad essere un chiasmo tra popoli e culture. Aquileia, città mediterranea del nord, in una regione di passaggio e di incontro-scontro di profughi, attraverso l’arte intende offrire anche un’iniziativa sostenibile ad un’economia in crisi per un sviluppo che sia nel segno della cultura.

«E’ tempo ormai che la vittima dimenticata di queste tragedie, che è il patrimonio culturale, divenga oggetto di attenzione continua e sistematica.» Dall’appello di Paolo Matthiae «Quando finirà tutto questo male? Haec olim meminisse iuvabit.» Lettera di Giulio Carlo Argan a Pasquale Rotondi che sottrasse al saccheggio nazista opere inestimabili da Roma, Milano e Venezia tra cui “La Tempesta” di Giorgione
Prende il via con opere dal Museo di Tunisi il progetto Archeologia ferita, dal prossimo 6 dicembre, e fino al 31 gennaio 2016, grazie alla Fondazione Aquileia, al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia che ospiterà importanti reperti in arrivo dal Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, colpito lo scorso 18 marzo 2015 dall’efferatezza del terrorismo fondamentalista.
L’iniziativa “Il Bardo ad Aquileia” è nata il 18 maggio scorso, in occasione della visita del presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella in Tunisia, come ha raccontato il Presidente della Fondazione Aquileia Antonio Zanardi Landi (allora Consigliere diplomatico del presidente). La proposta – per un costo complessivo di 140mila euro con una pubblicazione dedicata in francese e italiano – mira a testimoniare la vicinanza tra il popolo tunisino e quello italiano e, oltre ad essere un gesto di amicizia e solidarietà, rappresenta una corrispondenza culturale tra le due sponde mediterranee. Le 8 opere provenienti dal Bardo di Tunisi – che raccoglie la più grande collezione di mosaici romani al mondo - dialogheranno con i manufatti aquilesi non solo per sottolineare i legami e i collegamenti che caratterizzavano il Nord Africa e l’Alto Adriatico in età romana, nell’ambito di una circolazione di culture e religioni che abbracciava l’intero bacino del Mediterraneo, ma anche a testimonianza di quanti si oppongono a questa nuova terribile iconoclastia che tenta di negare alla radice il dialogo interculturale e interreligioso. La mostra - in collaborazione con la Soprintendenza Archeologia e il Polo Museale del Friuli Venezia Giulia- intende essere la prima di una serie di iniziative con l’obiettivo di portare in successione e con cadenza semestrale ad Aquileia opere d’arte significative provenienti da musei e siti colpiti dai tragici attacchi del terrorismo fondamentalista.
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Dal 6 dicembre 2015 al 31 gennaio 2016
Museo Archeologico Nazionale di Aquileia “Il Bardo ad Aquileia”
Quando l’arte diventa una risposta all’accoglienza: la prima tappa del viaggio nell’archeologia ferita del Mediterraneo. Il gemellaggio delle opere del Bardo di Tunisi con il Museo archeologico di Aquileia è un simbolo, all’indomani della tragedia dell’archeologia ferita dal terrorismo, metafora della distruzione della società da una parte, di rinnovata tolleranza e accoglienza dall’altra con l’obiettivo che il Mediterraneo torni ad essere un chiasmo tra popoli e culture. Aquileia, città mediterranea del nord, in una regione di passaggio e di incontro-scontro di profughi, attraverso l’arte intende offrire anche un’iniziativa sostenibile ad un’economia in crisi per un sviluppo che sia nel segno della cultura.

«E’ tempo ormai che la vittima dimenticata di queste tragedie, che è il patrimonio culturale, divenga oggetto di attenzione continua e sistematica.» Dall’appello di Paolo Matthiae «Quando finirà tutto questo male? Haec olim meminisse iuvabit.» Lettera di Giulio Carlo Argan a Pasquale Rotondi che sottrasse al saccheggio nazista opere inestimabili da Roma, Milano e Venezia tra cui “La Tempesta” di Giorgione
Prende il via con opere dal Museo di Tunisi il progetto Archeologia ferita, dal prossimo 6 dicembre, e fino al 31 gennaio 2016, grazie alla Fondazione Aquileia, al Museo Archeologico Nazionale di Aquileia che ospiterà importanti reperti in arrivo dal Museo Nazionale del Bardo di Tunisi, colpito lo scorso 18 marzo 2015 dall’efferatezza del terrorismo fondamentalista.

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Niente, più niente al mondo - Teatro Piccolo Eliseo (Roma)
Scritto da Ilaria Guidantoni Sabato, 05 Dicembre 2015
Dal 2 al 13 dicembre. Interpretazione convincente, profonda, con momenti di amara comicità e tanto dolore. E’ il monologo di una madre di famiglia che si consola con il vermouth per una vita avara di soddisfazioni, senza prospettive e sogni. Niente, più niente al mondo come ne’ “Il cielo in una stanza”, solo che la protagonista di questo interno popolare torinese non ha neppure mai visto il cielo e i suoi sogni sono morti prima di nascere. Spettacolo terribilmente credibile e di un’attualità spiazzante, in un crescendo tragico dove la tragedia è il quotidiano.
Item fulltext
Produzione Casanova Teatro in collaborazione con Razmataz presenta
NIENTE, PIÙ NIENTE AL MONDO
di Massimo Carlotto
adattamento teatrale di Nicola Pistoia
con Crescenza Guarnieri
scena Francesco Montanaro
costumi Sandra Cardini
luci Marco Laudando
regia Nicola Pistoia
aiuto regia Cristina Baldassarri
datore luci Francesco Barbera
fotografie di scena Barbara Ledda
ufficio stampa Le Staffette
Al Piccolo Eliseo Crescenza Guarnieri torna in scena dal 2 al 13 dicembre con lo spettacolo "Niente, più niente al mondo", tratto dall’omonimo libro di Massimo Carlotto, con l'adattamento teatrale e la regia di Nicola Pistoia. E’ la storia in forma di monologo di un intenso dramma familiare tra noir e racconto sociale. E’ un crescendo inesorabile con un finale nebuloso che sapientemente salta la narrazione dei particolari e si affida all’occhio e all’intesa dello spettatore. La donna, sola in scena, come in un delirio straziante, ironico e mai patetico, rievoca la propria storia e quella drammatica della sua famiglia, il rapporto con il marito e la figlia unica, tra bisogni e ossessioni, vite perdute, sogni infranti, il dio denaro, una battaglia per dimenticare.
Giovane sposandosi si trasferisce dal paese nella grande Torino, meta di sogno e grande delusione: è alla catena di montaggio della Fiat che ha perso la salute il padre ed è il buco nero che inghiotte i sogni. E’ stato il matrimonio il giorno più bello della sua vita, l’unico per il quale ha indossato un abito importante, l’ultimo vissuto come una promessa. Di allora ricorda la speranza, le fantasie mai avverate e le note di una canzone, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, cantata alla chitarra dal cugino del marito: sono i ricordi della promessa di giorni felici mai arrivati, in un quotidiano senza storia e senza musica.
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Dal 2 al 13 dicembre. Interpretazione convincente, profonda, con momenti di amara comicità e tanto dolore. E’ il monologo di una madre di famiglia che si consola con il vermouth per una vita avara di soddisfazioni, senza prospettive e sogni. Niente, più niente al mondo come ne’ “Il cielo in una stanza”, solo che la protagonista di questo interno popolare torinese non ha neppure mai visto il cielo e i suoi sogni sono morti prima di nascere. Spettacolo terribilmente credibile e di un’attualità spiazzante, in un crescendo tragico dove la tragedia è il quotidiano.
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Produzione Casanova Teatro in collaborazione con Razmataz presenta
NIENTE, PIÙ NIENTE AL MONDO
di Massimo Carlotto
adattamento teatrale di Nicola Pistoia
con Crescenza Guarnieri
scena Francesco Montanaro
costumi Sandra Cardini
luci Marco Laudando
regia Nicola Pistoia
aiuto regia Cristina Baldassarri
datore luci Francesco Barbera
fotografie di scena Barbara Ledda
ufficio stampa Le Staffette
Al Piccolo Eliseo Crescenza Guarnieri torna in scena dal 2 al 13 dicembre con lo spettacolo "Niente, più niente al mondo", tratto dall’omonimo libro di Massimo Carlotto, con l'adattamento teatrale e la regia di Nicola Pistoia. E’ la storia in forma di monologo di un intenso dramma familiare tra noir e racconto sociale. E’ un crescendo inesorabile con un finale nebuloso che sapientemente salta la narrazione dei particolari e si affida all’occhio e all’intesa dello spettatore. La donna, sola in scena, come in un delirio straziante, ironico e mai patetico, rievoca la propria storia e quella drammatica della sua famiglia, il rapporto con il marito e la figlia unica, tra bisogni e ossessioni, vite perdute, sogni infranti, il dio denaro, una battaglia per dimenticare.
Giovane sposandosi si trasferisce dal paese nella grande Torino, meta di sogno e grande delusione: è alla catena di montaggio della Fiat che ha perso la salute il padre ed è il buco nero che inghiotte i sogni. E’ stato il matrimonio il giorno più bello della sua vita, l’unico per il quale ha indossato un abito importante, l’ultimo vissuto come una promessa. Di allora ricorda la speranza, le fantasie mai avverate e le note di una canzone, “Il cielo in una stanza” di Gino Paoli, cantata alla chitarra dal cugino del marito: sono i ricordi della promessa di giorni felici mai arrivati, in un quotidiano senza storia e senza musica.
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mercoledì 2 dicembre 2015
“11 donne a Parigi”. Anteprima Cinema Adriano di Roma
Scritto da Ilaria Guidantoni Martedì, 01 Dicembre 2015
Nei cinema dal 3 dicembre 2015
Commedia scoppiettante, per certi aspetti surreale al limite del grottesco, dal tono francese – con qualche caduta e lunghezza eccessiva – tutta al femminile. Il maschio ne esce sconfitto, debole e vinto in un modello certamente francese, con l’intraprendenza un po’ cinica e ai limiti della malignità della complicità al femminile.
Due ore di ritmo serrato, sul tono del rosso, vero fil rouge, di una commedia giocata sull’eros e sul ritmo ormonale delle donne, 11 donne a Parigi a primavera per 28 giorni, sfaccettature dell’universo femminile e ognuna molte donne ad un tempo. La commedia – titolo originale (e più divertente) Sous le jupes des filles - di maggior successo in Francia degli ultimi anni, arriva in Italia. Se l’avvio è frizzante e leggero, il tono si fa in certi punti surreale, quasi un po’ claustrofobico – tra manie, paure, ossessioni, fisime e tic delle protagoniste – perfino grottesco, lasciando alla fine l’amaro in bocca e una nota di speranza. E’ un affresco sulla debâcle sentimentale e le voragini psicologiche delle donne di fronte al mondo dei sentimenti e dell’intimità. Un mosaico amaro dove la speranza alla fine è data comunque dalla famiglia, rappresentata dall’unica storia del film che fotografa in modo decisamente credibile la società francese.
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Nei cinema dal 3 dicembre 2015
Commedia scoppiettante, per certi aspetti surreale al limite del grottesco, dal tono francese – con qualche caduta e lunghezza eccessiva – tutta al femminile. Il maschio ne esce sconfitto, debole e vinto in un modello certamente francese, con l’intraprendenza un po’ cinica e ai limiti della malignità della complicità al femminile.
Due ore di ritmo serrato, sul tono del rosso, vero fil rouge, di una commedia giocata sull’eros e sul ritmo ormonale delle donne, 11 donne a Parigi a primavera per 28 giorni, sfaccettature dell’universo femminile e ognuna molte donne ad un tempo. La commedia – titolo originale (e più divertente) Sous le jupes des filles - di maggior successo in Francia degli ultimi anni, arriva in Italia. Se l’avvio è frizzante e leggero, il tono si fa in certi punti surreale, quasi un po’ claustrofobico – tra manie, paure, ossessioni, fisime e tic delle protagoniste – perfino grottesco, lasciando alla fine l’amaro in bocca e una nota di speranza. E’ un affresco sulla debâcle sentimentale e le voragini psicologiche delle donne di fronte al mondo dei sentimenti e dell’intimità. Un mosaico amaro dove la speranza alla fine è data comunque dalla famiglia, rappresentata dall’unica storia del film che fotografa in modo decisamente credibile la società francese.
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