Sabato, 27 Aprile 2013 Ilaria Guidantoni
Un canto del cigno ironico, autoironico, è questa la cifra di uno spettacolo che, come recita il titolo non è risolto, non totalmente, e forse ritrova nella vena del sorriso amaro e a volte piccante il suo gusto migliore, che fa perdonare l’incertezza della voce della sua autrice e forse anche l’organicità del testo che a volte zoppica. Una sorta di testamento teatrale, senza autocelebrazione, sottile e delicato come la vita di una signora, una delle signore del palcoscenico italiano che si può permettere molte concessioni. Il pregio migliore è nella venatura agro-dolce che mette alla prova tutti i protagonisti costringendoli a mettersi in discussione e a giocare sulle sfumature. La mimica del corpo, un gesto accennato di una mano, un battito di ciglia, un sorriso di traverso, rivelano per tutti questi interpreti la capacità di stare in scena e l'aver masticato molto teatro. Per il resto sono considerazioni sulla vita, sull’esistere, la difficoltà e la necessità dei rapporti umani, indispensabili quasi quanto impossibili. Domande che non trovano risposta, nemmeno sul viale del tramonto.
Un canto del cigno ironico, autoironico, è questa la cifra di uno spettacolo che, come recita il titolo non è risolto, non totalmente, e forse ritrova nella vena del sorriso amaro e a volte piccante il suo gusto migliore, che fa perdonare l’incertezza della voce della sua autrice e forse anche l’organicità del testo che a volte zoppica. Una sorta di testamento teatrale, senza autocelebrazione, sottile e delicato come la vita di una signora, una delle signore del palcoscenico italiano che si può permettere molte concessioni. Il pregio migliore è nella venatura agro-dolce che mette alla prova tutti i protagonisti costringendoli a mettersi in discussione e a giocare sulle sfumature. La mimica del corpo, un gesto accennato di una mano, un battito di ciglia, un sorriso di traverso, rivelano per tutti questi interpreti la capacità di stare in scena e l'aver masticato molto teatro. Per il resto sono considerazioni sulla vita, sull’esistere, la difficoltà e la necessità dei rapporti umani, indispensabili quasi quanto impossibili. Domande che non trovano risposta, nemmeno sul viale del tramonto.
Società per Attori presenta
NON TUTTO È RISOLTO
di e con Franca Valeri
con Licia Maglietta, Urbano Barberini e Gabriella Franchini
regia di Giuseppe Marini
scene Alessandro Chiti
costumi Mariano Tufano
Instancabile Franca Valeri calca ancora la scena, autrice di una riflessione non organica sulla vita che qualche critico ha definito un’avventura umana e artistica narrata con grazia mozartiana. Se la musica si inserisce di tanto in tanto come una divagazione, porta in sé certo la grazia e una certa apparente allegrezza sofistica e sovra-eccitata di mozartiana memoria, ma tosto mi fa venire in mente quella vena malinconica del genio sopra le righe e in fondo infelice, preda dei propri capricci che era Amadeus e che in qualche modo è la contessa protagonista, che recita tutto il tempo su una sedia a rotelle, interpretando se stessa, raccolta nella sua pelliccia chiara, come quelle di una volta; il cappello che - afferma - ha sempre portato, d’inverno per tenere la testa calda e d’estate, di paglia, per ripararsi dal calore. E ancora la sua borsetta stretta come un’ancora alla quale aggrapparsi.
La recensione integrale su Saltinaria.it
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