Ilaria Guidantoni, 08 Marzo 2015
Lunedì 2 marzo è andato in scena "Le rotaie della memoria", il commovente spettacolo della compagnia Eco di fondo vincitrice (in ex-aequo con "A qualcuno piace…Fred!" di Epos Teatro) della prima edizione del Premio Riccardo Pradella, riconoscimento istituito dall’Accademia dei Filodrammatici per ricordare una delle figure portanti della sua storia: Riccardo Pradella, attore e regista, promotore della riapertura del Teatro Filodrammatici negli anni ’70 e, per moltissimi anni, tutor del corso di recitazione della scuola per attori, scomparso nell’agosto del 2012. Il Premio, rivolto alle giovani compagnie, composte in maggioranza da ex allievi dell’Accademia dei Filodrammatici, dà la possibilità ai vincitori di mettere in scena il proprio spettacolo all’interno del cartellone del Teatro Filodrammatici. La compagnia Eco di fondo con lo spettacolo "Le rotaie della memoria" ha vinto il Premio Pradella grazie alla sua sensibilità nel confrontarsi con il contemporaneo e nello svolgere una continuativa ricerca su temi etico-sociali.
Produzione Eco di Fondo presenta
LE ROTAIE DELLA MEMORIA
di Giulia Viana e Giacomo Ferraù
regia Giacomo Ferraù
assistenti alla regia Valentina Mandruzzato e Riccardo Buffonini
con Giulia Viana
scene e luci Giuliano Almerighi
Primo classificato (ex-aequo) Premio Riccardo Pradella prima edizione
Sono i binari della memoria che nutrono il presente e danno un senso al futuro: il dovere e il bisogno insieme di ricordare chi ha contribuito a creare una democrazia, anche se imperfetta, in questo Paese. A quasi un secolo dalla prima guerra mondiale questo spettacolo delicato e un po’ malinconico suona un campanello, quello della coscienza collettiva, del valore del ricordo. Da lì sono iniziate la globalizzazione e l’idea di una sorta di precarietà collettiva: tutti in un momento saremmo potuti entrare in guerra con tutti. Poi l’esperienza della dittatura, la seconda guerra mondiale, il sapore amaro della sconfitta. Uno spettacolo originale perché una donna veste i panni di un uomo, di un partigiano, per raccontare nel ricordo la propria vita, di sacrifici, di dolori, di piccole e grandi punizioni, dallo stare in ginocchio sui ceci al carcere, in nome di ideali. Storie semplici di una vita paesana dura eppure ricordata come meravigliosa, perché vera e intensa. Come la recitazione di Giulia Viana, una grande prova, vissuta con tenera umiltà. Il lavoro duro di corpo, voce, interpretazione, nel segno dell’immedesimazione. Un testo e un’interpretazione poetica per raccontare la lotta per la democrazia con dolcezza, senza grida, fuori dal segno dell’ideologia. Come una storia di tutti i giorni. Una prospettiva originale.
L'articolo integrale su Saltinaria.it
mercoledì 11 marzo 2015
Matisse. Arabesque. 5 marzo – 21 giugno. Roma, Scuderie del Quirinale
Ilaria Guidantoni, 07 Marzo 2015
E’ la prospettiva originale il punto di forza della mostra, la lettura della poetica pittorica di Matisse attraverso la suggestione arabo-orientale della decorazione, arabesque come recita il sottotitolo. Interessante l’accostamento a reperti storici di ceramica turca e araba di diverse provenienze ed epoche che hanno influenzato il protagonismo del colore nel pittore francese. E ancora maschere e oggetti provenienti da un mondo “altro e lontano” come il moucharabieh di Fez, quasi tutti provenienti dal museo parigino di Quai Branly dedicato appunto alle civiltà extra-europee. Da segnalare l’attività di costumista per Daghilev che riportano ai suoi viaggi in Russia e a uno scambio che in quegli anni interessò molti artisti.
“La preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai i miei disegni, perché quei preziosismi e quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione del quadro.”
La révélation m'est venue d'Orient scriveva Henri Matisse nel 1947 al critico Gaston Diehl: una rivelazione che non fu uno shock improvviso ma - come testimoniano i suoi quadri e disegni - viene piuttosto da una crescente frequentazione dell'Oriente e si sviluppa nell'arco di viaggi, incontri e visite a mostre ed esposizioni.
Proposta dalle Scuderie del Quirinale, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, da Roma Capitale - Assessorato alla Cultura, Creatività, Promozione Artistica e Turismo, la mostra è organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in coproduzione con MondoMostre e catalogo a cura di Skira editore. In esposizione oltre cento opere di Matisse con alcuni capolavori assoluti - per la prima volta in Italia - dai maggiori musei del mondo: Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washington solo per citarne alcuni.
Curata da Ester Coen, con un comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, “Matisse. Arabesque”, vuole restituire un'idea delle suggestioni che l'Oriente ebbe nella pittura di Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi, i suoi colori, suggerisce uno spazio più vasto, un vero spazio plastico e offre un nuovo respiro alle sue composizioni, liberandolo dalle costrizioni formali, dalla necessità della prospettiva e della "somiglianza" per aprire a uno spazio fatto di colori vibranti, a una nuova idea di arte decorativa fondata sull’idea di superficie pura.
La recensione integrale su Saltinaria.it
E’ la prospettiva originale il punto di forza della mostra, la lettura della poetica pittorica di Matisse attraverso la suggestione arabo-orientale della decorazione, arabesque come recita il sottotitolo. Interessante l’accostamento a reperti storici di ceramica turca e araba di diverse provenienze ed epoche che hanno influenzato il protagonismo del colore nel pittore francese. E ancora maschere e oggetti provenienti da un mondo “altro e lontano” come il moucharabieh di Fez, quasi tutti provenienti dal museo parigino di Quai Branly dedicato appunto alle civiltà extra-europee. Da segnalare l’attività di costumista per Daghilev che riportano ai suoi viaggi in Russia e a uno scambio che in quegli anni interessò molti artisti.
“La preziosità o gli arabeschi non sovraccaricano mai i miei disegni, perché quei preziosismi e quegli arabeschi fanno parte della mia orchestrazione del quadro.”
La révélation m'est venue d'Orient scriveva Henri Matisse nel 1947 al critico Gaston Diehl: una rivelazione che non fu uno shock improvviso ma - come testimoniano i suoi quadri e disegni - viene piuttosto da una crescente frequentazione dell'Oriente e si sviluppa nell'arco di viaggi, incontri e visite a mostre ed esposizioni.
Proposta dalle Scuderie del Quirinale, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, da Roma Capitale - Assessorato alla Cultura, Creatività, Promozione Artistica e Turismo, la mostra è organizzata dall’Azienda Speciale Palaexpo in coproduzione con MondoMostre e catalogo a cura di Skira editore. In esposizione oltre cento opere di Matisse con alcuni capolavori assoluti - per la prima volta in Italia - dai maggiori musei del mondo: Tate, MET, MoMa, Puškin, Ermitage, Pompidou, Orangerie, Philadelphia, Washington solo per citarne alcuni.
Curata da Ester Coen, con un comitato scientifico composto da John Elderfield, Remi Labrusse e Olivier Berggruen, “Matisse. Arabesque”, vuole restituire un'idea delle suggestioni che l'Oriente ebbe nella pittura di Matisse: un Oriente che, con i suoi artifici, i suoi arabeschi, i suoi colori, suggerisce uno spazio più vasto, un vero spazio plastico e offre un nuovo respiro alle sue composizioni, liberandolo dalle costrizioni formali, dalla necessità della prospettiva e della "somiglianza" per aprire a uno spazio fatto di colori vibranti, a una nuova idea di arte decorativa fondata sull’idea di superficie pura.
La recensione integrale su Saltinaria.it
"National Gallery" un film di Frederick Wiseman. Al cinema l'11 marzo 2015
Ilaria Guidantoni, 07 Marzo 2015
Nexo Digital e I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection
presentano
NATIONAL GALLERY
di Frederick Wiseman
Mercoledì 11 marzo, per un solo giorno al cinema
Trailer qui https://www.youtube.com/watch?v=-wJZ30AyoyQ&feature=youtu.be
Un film ed anche una visita virtuale, ma non solo. Da un anno un’iniziativa di diffusione della conoscenza dei principali musei del mondo si affida a registi che interpretano in modo diverso il ruolo di Cicerone virtuale. Nell’episodio dedicato alla National Gallery il regista mette in scena una riflessione sulla fruizione pubblica di un grande museo, con al centro il giudizio popolare a partire dai bambini.
L’esperimento è interessante anche se di per sé non particolarmente originale: mettere a disposizione la conoscenza dei grandi musei del mondo grazie al cinema con un intento didattico e percettivo, rendendo l’apprezzamento delle opere più fruibile della stessa visita reale per certi aspetti. Nella “National Gallery in Tour” – che l’Italia festeggia con un mese di iniziative e collaborazioni – il film Leone d’Oro di Frederick Wiseman sul grande schermo in programma mercoledì 11 marzo nei cinema italiani. Quasi tre ore di proiezione con al centro la discussione tra i curatori, il direttore Nicholas Penny, guide turistiche e figure varie sul tema del rapporto con il pubblico dalla parte del pubblico. Emerge l’importanza del dialogo con lo spettatore, l’approccio interattivo, l’attenzione ai bisogni che viene messo in luce da chi guarda il museo dall’esterno. D’altra parte, chi gestisce un museo si chiede qual è il riflesso di un’apertura maggiore dello spazio espositivo all’esterno e con un’attenzione focalizzata anche sull’espressione popolare. Il problema, molto delicato, è se si riesce a misurarne l’effetto e il gradimento e se il successo sia rappresentato dall’aumento di numeri, dal maggior accesso virtuale e a cosa debba maggiormente rispondere un museo.
Non è tanto interessante seguire il filo delle discussioni e capire l’esito quanto l’approccio di un regista di profilo rispetto alla ricchezza da mostrare e la sua scelta critica di ragionare su come arriva e viene percepita l’opera d’arte.
L'articolo integrale su Saltinaria.it
Nexo Digital e I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection
presentano
NATIONAL GALLERY
di Frederick Wiseman
Mercoledì 11 marzo, per un solo giorno al cinema
Trailer qui https://www.youtube.com/watch?v=-wJZ30AyoyQ&feature=youtu.be
Un film ed anche una visita virtuale, ma non solo. Da un anno un’iniziativa di diffusione della conoscenza dei principali musei del mondo si affida a registi che interpretano in modo diverso il ruolo di Cicerone virtuale. Nell’episodio dedicato alla National Gallery il regista mette in scena una riflessione sulla fruizione pubblica di un grande museo, con al centro il giudizio popolare a partire dai bambini.
L’esperimento è interessante anche se di per sé non particolarmente originale: mettere a disposizione la conoscenza dei grandi musei del mondo grazie al cinema con un intento didattico e percettivo, rendendo l’apprezzamento delle opere più fruibile della stessa visita reale per certi aspetti. Nella “National Gallery in Tour” – che l’Italia festeggia con un mese di iniziative e collaborazioni – il film Leone d’Oro di Frederick Wiseman sul grande schermo in programma mercoledì 11 marzo nei cinema italiani. Quasi tre ore di proiezione con al centro la discussione tra i curatori, il direttore Nicholas Penny, guide turistiche e figure varie sul tema del rapporto con il pubblico dalla parte del pubblico. Emerge l’importanza del dialogo con lo spettatore, l’approccio interattivo, l’attenzione ai bisogni che viene messo in luce da chi guarda il museo dall’esterno. D’altra parte, chi gestisce un museo si chiede qual è il riflesso di un’apertura maggiore dello spazio espositivo all’esterno e con un’attenzione focalizzata anche sull’espressione popolare. Il problema, molto delicato, è se si riesce a misurarne l’effetto e il gradimento e se il successo sia rappresentato dall’aumento di numeri, dal maggior accesso virtuale e a cosa debba maggiormente rispondere un museo.
Non è tanto interessante seguire il filo delle discussioni e capire l’esito quanto l’approccio di un regista di profilo rispetto alla ricchezza da mostrare e la sua scelta critica di ragionare su come arriva e viene percepita l’opera d’arte.
L'articolo integrale su Saltinaria.it
venerdì 6 marzo 2015
FRANCESCO GAROLFI - Wild (Autoproduzione, 2015)
Josè Leaci, 01 Marzo 2015
Con "Wild", Francesco Garolfi entra ed esce dal suo fantabosco personale, accompagnando lupi, orsi e indiani coperti di pelli di bisonte, attraverso l'inverno dello Yukon immaginato.
Genere: Ambient, colonna sonora
Voto: 7.5/10
Francesco Garolfi entra ed esce dal suo fantabosco personale, accompagnando lupi, orsi e indiani coperti di pelli di bisonte, attraverso l'inverno dello Yukon immaginato. Ascoltando "Wild" sembra di passeggiare con lui tra gli alberi innevati, sui sentieri argillosi, lungo le sponde dei fiumi, tra riflessi di luce e il profumo del muschio bagnato.
Non fa sfoggio di una grande tecnica chitarristica. Forse, pur avendo le capacità del guitar hero, non ha intenzione di mostrare i muscoli, eppure in questo disco è talmente ispirato da risultare innegabilmente godibile. La sua capacità compositiva, probabilmente, è il suo grande biglietto da visita e noi non vogliamo pensare a lui esclusivamente come ad uno strumentista.
In "Wild" ascoltiamo Garolfi descrivere gli scenari de "Il richiamo della foresta" e "Zanna bianca", come componesse musiche da film, la colonna sonora di un viaggio mentale da dividere con lo scrittore Davide Sapienza, traduttore dei libri di Jack London che, con Garolfi, ha ideato un progetto teatrale intitolato "Il richiamo di Zanna Bianca".
La recensione integrale su Saltinaria.it
Con "Wild", Francesco Garolfi entra ed esce dal suo fantabosco personale, accompagnando lupi, orsi e indiani coperti di pelli di bisonte, attraverso l'inverno dello Yukon immaginato.
Genere: Ambient, colonna sonora
Voto: 7.5/10
Francesco Garolfi entra ed esce dal suo fantabosco personale, accompagnando lupi, orsi e indiani coperti di pelli di bisonte, attraverso l'inverno dello Yukon immaginato. Ascoltando "Wild" sembra di passeggiare con lui tra gli alberi innevati, sui sentieri argillosi, lungo le sponde dei fiumi, tra riflessi di luce e il profumo del muschio bagnato.
Non fa sfoggio di una grande tecnica chitarristica. Forse, pur avendo le capacità del guitar hero, non ha intenzione di mostrare i muscoli, eppure in questo disco è talmente ispirato da risultare innegabilmente godibile. La sua capacità compositiva, probabilmente, è il suo grande biglietto da visita e noi non vogliamo pensare a lui esclusivamente come ad uno strumentista.
In "Wild" ascoltiamo Garolfi descrivere gli scenari de "Il richiamo della foresta" e "Zanna bianca", come componesse musiche da film, la colonna sonora di un viaggio mentale da dividere con lo scrittore Davide Sapienza, traduttore dei libri di Jack London che, con Garolfi, ha ideato un progetto teatrale intitolato "Il richiamo di Zanna Bianca".
La recensione integrale su Saltinaria.it
“Medardo Rosso. La Luce e la materia”. GAM – Galleria d’Arte Moderna di Milano
Ilaria Guidantoni, 03 Marzo 2015
Dal 18 Febbraio 2015 al 30 Maggio 2015
Curatori Paola Zatti in collaborazione con il Museo Rosso di Barzio
Una retrospettiva di alto valore, per la natura delle opere e per l’aspetto simbolico: omaggio all’artista torinese, con un’esperienza parigina, milanese di adozione. Scultore e fotografo, ribelle all’accademia, precursore del superamento delle barriere tra le arti, di grande modernità, infaticabile sperimentatore di tecniche.
La Galleria d’Arte Moderna di Milano, in collaborazione con il Museo Rosso di Barzio, dedica una grande retrospettiva a Medardo Rosso con un’ampia selezione delle sue opere per dar conto della sua intera vicenda artistica a 35 anni dall’ultima monografica che Milano ha dedicato allo scultore torinese, ma milanese d’adozione, unico artista italiano della sua epoca ad avere un respiro europeo. La mostra è l’occasione per riscoprire un artista troppo a lungo dimenticato. Sebbene a Milano si sia formato all’ Accademia di Brera – tra il 1882 e il 1883 – e qui sia ritornato dopo il periodo parigino, è dal 1979 (quando la Permanente gli dedicò una grande mostra) che la città non lo ospita più. Fino al 1914 i musei pubblici sembravano non accorgersi di lui eppure è stato un grande innovatore e precursore, lontano da ogni etichetta.
L’esposizione, a cura di Paola Zatti, conservatore responsabile della Galleria d’Arte Moderna di Milano, ha un percorso tematico – con 73 pezzi, circa 30 sculture e 10 fotografie - che prenderà avvio con quattro delle più significative opere degli esordi di Rosso, tutte realizzate a Milano e presentate in diverse versioni: il “Birichino”, prima opera comparsa nelle sale di Brera nel 1882; il “Sagrestano”, soggetto comico e quasi spietato del 1883, la “Ruffiana”, dello stesso anno, rappresentazione caricaturale, nel solco della tradizione verista; e “Portinaria”, 1890-1905 dal Museo di Belle Arti di Budapest.
La seconda sezione, La materia, usi e sottrazioni, intende restituire, attraverso diverse versioni di due soli soggetti, rispettivamente la “Rieuse” e “Ecce puer” - il primo abbraccia un arco cronologico ampio, dal 1890 agli anni ’10 del Novecento, il secondo tra gli ultimi affrontati nel 1906 - due temi fondamentali: la sperimentazione materica (l’utilizzo personalissimo e inconfondibile, di gesso, bronzo e cera) e il processo creativo dell’artista che procede, nel suo percorso tormentato, per “sottrazioni”, fino al raggiungimento dell’esito desiderato.
La recensione integrale su Saltinaria.it
Dal 18 Febbraio 2015 al 30 Maggio 2015
Curatori Paola Zatti in collaborazione con il Museo Rosso di Barzio
Una retrospettiva di alto valore, per la natura delle opere e per l’aspetto simbolico: omaggio all’artista torinese, con un’esperienza parigina, milanese di adozione. Scultore e fotografo, ribelle all’accademia, precursore del superamento delle barriere tra le arti, di grande modernità, infaticabile sperimentatore di tecniche.
La Galleria d’Arte Moderna di Milano, in collaborazione con il Museo Rosso di Barzio, dedica una grande retrospettiva a Medardo Rosso con un’ampia selezione delle sue opere per dar conto della sua intera vicenda artistica a 35 anni dall’ultima monografica che Milano ha dedicato allo scultore torinese, ma milanese d’adozione, unico artista italiano della sua epoca ad avere un respiro europeo. La mostra è l’occasione per riscoprire un artista troppo a lungo dimenticato. Sebbene a Milano si sia formato all’ Accademia di Brera – tra il 1882 e il 1883 – e qui sia ritornato dopo il periodo parigino, è dal 1979 (quando la Permanente gli dedicò una grande mostra) che la città non lo ospita più. Fino al 1914 i musei pubblici sembravano non accorgersi di lui eppure è stato un grande innovatore e precursore, lontano da ogni etichetta.
L’esposizione, a cura di Paola Zatti, conservatore responsabile della Galleria d’Arte Moderna di Milano, ha un percorso tematico – con 73 pezzi, circa 30 sculture e 10 fotografie - che prenderà avvio con quattro delle più significative opere degli esordi di Rosso, tutte realizzate a Milano e presentate in diverse versioni: il “Birichino”, prima opera comparsa nelle sale di Brera nel 1882; il “Sagrestano”, soggetto comico e quasi spietato del 1883, la “Ruffiana”, dello stesso anno, rappresentazione caricaturale, nel solco della tradizione verista; e “Portinaria”, 1890-1905 dal Museo di Belle Arti di Budapest.
La seconda sezione, La materia, usi e sottrazioni, intende restituire, attraverso diverse versioni di due soli soggetti, rispettivamente la “Rieuse” e “Ecce puer” - il primo abbraccia un arco cronologico ampio, dal 1890 agli anni ’10 del Novecento, il secondo tra gli ultimi affrontati nel 1906 - due temi fondamentali: la sperimentazione materica (l’utilizzo personalissimo e inconfondibile, di gesso, bronzo e cera) e il processo creativo dell’artista che procede, nel suo percorso tormentato, per “sottrazioni”, fino al raggiungimento dell’esito desiderato.
La recensione integrale su Saltinaria.it
lunedì 2 marzo 2015
Giovanni CAMPUS - Dal 28 febbraio al 7 aprile Museo Piaggio Pontedera
Giovanni CAMPUS
Venerdì 27 febbraio - Ore 18,30 - Museo Piaggio
Inaugurazione della mostra antologica di Giovanni Campus presso il Museo Piaggio di Pontedera
La figura di Giovanni Campus (Olbia, 1929) è una delle più singolari e autonome nel campo della scultura italiana, che con questa mostra celebra oltre mezzo secolo di attività. Il suo lavoro “site specific” data dalla metà degli anni Settanta, e le sue “Determinazioni” – tratti di corda che definiscono le rocce della Gallura, trasformando la scogliera in scultura -, realizzate dal 1983, costituiscono uno degli esempi più importanti di Land Art italiana e non solo. La definizione dello spazio, attraverso linee-forza trasformate in barre metalliche o in travi di legno, rappresenta la sua “cifra” stilistica, che si è andata evolvendo continuamente nel corso degli ultimi tre decenni, fino alla commistione tra superficie quasi pittorica e intervento plastico. L’intento etico del suo lavoro viene costantemente confermato dalla ricerca costante di collaborazione collettiva al lavoro, di “costruzione sociale” dell’opera, che trova la sua metafora sostanziale nella domanda esistenziale sulla propria collocazione nella realtà del mondo.
Come ha scritto Marco Meneguzzo – che di questa mostra antologica è il curatore, e l’estensore del lungo saggio in catalogo – in una lettera indirizzatagli nel 2009 “Il compito che ti sei dato – o se vuoi, il compito che le tue opere hanno scelto per te, visto il senso di necessità che promana da ciascuna di esse e da tutto l’insieme della tua attività - è quello di percorrere in lungo e in largo questo territorio che tutti credono ormai di conoscere, per continuare a definire quegli interstizi inesplorati che esistono anche nelle città più conosciute: se si pensa che lo spazio sia dato una volta per tutte – e già ci si sbaglia, ma solo nel lungo periodo -, al contrario il senso dello spazio muta continuamente, pur non uscendo mai da quei confini conosciuti. Ecco allora che la geometria diventa qualcosa di più personale, e di tutt’altro che universale: è la geometria che ti appartiene quella che ti interessa, quella che percepisci, addirittura quella che ami. Non a caso in tanti lavori degli anni Ottanta misuravi letteralmente un sasso, una distanza, una fessura, con una corda, quasi a rendere visibile e tangibile l’atto del misurare che andavi compiendo, e che restava nella lunghezza di quella cima, nella fotografia di quella pietra, nella pesantezza del blocco di cemento sgrossato; non a caso, in anni più recenti, le tue forme portano con loro e su di loro certi segni, certe scalfitture che le allontanano dall’idea astratta della forma, per farle calare nel concetto di un forma percorsa dal tempo, scelta dall’artista per una qualche ragione sentimentale, più che razionale.”
La mostra antologica, nata da una collaborazione fra la Fondazione Livorno e la Fondazione Piaggio, è stata concepita su due sedi e in periodi consecutivi. Chiusa con grande successo l’8 febbraio la prima esposizione realizzata nella sede della Fondazione Livorno, il 27 Febbraio è attesa l’inaugurazione presso il Museo Piaggio a Pontedera.
Pubblicato per l’occasione un volume-catalogo che ripercorre quasi cinquant’anni di ricchissima attività artistica ed espositiva del Maestro Giovanni Campus.
Giovanni Campus (Olbia 1929), ha studiato a Genova, nel 1966 inizia un rapporto tuttora in atto con la Galleria Giraldi di Livorno, nel 1968 si trasferisce a Milano, dove vive tuttora. E’ di quegli anni l’interesse per le installazioni “in situ”, che per tutti i due decenni successivi lo occupano in varie parti del Paese, dalla Piazzetta di Palazzo Reale a Milano (1977) alle rocce della Gallura (1983), dalla Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1978) al Museo Civico In Progress di Livorno (1979), al Parco Comunale di Carbonia (2009).
Venerdì 27 febbraio - Ore 18,30 - Museo Piaggio
Inaugurazione della mostra antologica di Giovanni Campus presso il Museo Piaggio di Pontedera
La figura di Giovanni Campus (Olbia, 1929) è una delle più singolari e autonome nel campo della scultura italiana, che con questa mostra celebra oltre mezzo secolo di attività. Il suo lavoro “site specific” data dalla metà degli anni Settanta, e le sue “Determinazioni” – tratti di corda che definiscono le rocce della Gallura, trasformando la scogliera in scultura -, realizzate dal 1983, costituiscono uno degli esempi più importanti di Land Art italiana e non solo. La definizione dello spazio, attraverso linee-forza trasformate in barre metalliche o in travi di legno, rappresenta la sua “cifra” stilistica, che si è andata evolvendo continuamente nel corso degli ultimi tre decenni, fino alla commistione tra superficie quasi pittorica e intervento plastico. L’intento etico del suo lavoro viene costantemente confermato dalla ricerca costante di collaborazione collettiva al lavoro, di “costruzione sociale” dell’opera, che trova la sua metafora sostanziale nella domanda esistenziale sulla propria collocazione nella realtà del mondo.
Come ha scritto Marco Meneguzzo – che di questa mostra antologica è il curatore, e l’estensore del lungo saggio in catalogo – in una lettera indirizzatagli nel 2009 “Il compito che ti sei dato – o se vuoi, il compito che le tue opere hanno scelto per te, visto il senso di necessità che promana da ciascuna di esse e da tutto l’insieme della tua attività - è quello di percorrere in lungo e in largo questo territorio che tutti credono ormai di conoscere, per continuare a definire quegli interstizi inesplorati che esistono anche nelle città più conosciute: se si pensa che lo spazio sia dato una volta per tutte – e già ci si sbaglia, ma solo nel lungo periodo -, al contrario il senso dello spazio muta continuamente, pur non uscendo mai da quei confini conosciuti. Ecco allora che la geometria diventa qualcosa di più personale, e di tutt’altro che universale: è la geometria che ti appartiene quella che ti interessa, quella che percepisci, addirittura quella che ami. Non a caso in tanti lavori degli anni Ottanta misuravi letteralmente un sasso, una distanza, una fessura, con una corda, quasi a rendere visibile e tangibile l’atto del misurare che andavi compiendo, e che restava nella lunghezza di quella cima, nella fotografia di quella pietra, nella pesantezza del blocco di cemento sgrossato; non a caso, in anni più recenti, le tue forme portano con loro e su di loro certi segni, certe scalfitture che le allontanano dall’idea astratta della forma, per farle calare nel concetto di un forma percorsa dal tempo, scelta dall’artista per una qualche ragione sentimentale, più che razionale.”
La mostra antologica, nata da una collaborazione fra la Fondazione Livorno e la Fondazione Piaggio, è stata concepita su due sedi e in periodi consecutivi. Chiusa con grande successo l’8 febbraio la prima esposizione realizzata nella sede della Fondazione Livorno, il 27 Febbraio è attesa l’inaugurazione presso il Museo Piaggio a Pontedera.
Pubblicato per l’occasione un volume-catalogo che ripercorre quasi cinquant’anni di ricchissima attività artistica ed espositiva del Maestro Giovanni Campus.
Giovanni Campus (Olbia 1929), ha studiato a Genova, nel 1966 inizia un rapporto tuttora in atto con la Galleria Giraldi di Livorno, nel 1968 si trasferisce a Milano, dove vive tuttora. E’ di quegli anni l’interesse per le installazioni “in situ”, che per tutti i due decenni successivi lo occupano in varie parti del Paese, dalla Piazzetta di Palazzo Reale a Milano (1977) alle rocce della Gallura (1983), dalla Galleria d’Arte Moderna di Bologna (1978) al Museo Civico In Progress di Livorno (1979), al Parco Comunale di Carbonia (2009).
IL MIO SECOLO NON MI FA PAURA
IL MIO SECOLO NON MI FA PAURA
Johanna & Ludwig di Fulvio Iannaco
LUNEDI' 02 MARZO e MARTEDI' 31 ore 11,00
TEATRO ANTIGONE (Roma)
SABATO 14 MARZO MATINEE ore 10,30 - serale ore 21,00
APERITICENA ore 19.30 OFFERTO DALLA CASA DEL POPOLO DI SAN BARTOLO A CINTOIA TEATRO DEL BORGO (Firenze)
regia di Rossella Napolano con Annachiara Mantovani e Pier Paolo Iacopini
voci off Pietro Longhi e Pierre Bresolin
Video ufficiale https://www.youtube.com/watch?v=L7rEsFeXdrs&feature=youtu.be
SCHEDA DELLO SPETTACOLO
In una scena semplicissima (una poltrona, molti libri ed un leggio), una donna di oggi si interroga sulla identità femminile.
La riflessione si svolge in due momenti: dapprima raccontandoci della vicenda umana e sentimentale (e del suo fallimento), tra la giovanissima Johanna Kapp allora diciassettenne, siamo negli anni dei moti europei del 1848, e il filosofo Ludwig Andreas Feuerbach, l' autore de:" L'Essenza del Cristianesimo".
Anche attraverso la lettura di alcuni estratti del testo, in cui per la prima volta viene proposta l'idea della religione come creazione inconsapevole della mente dell'uomo stesso, viene raccontata e quasi "vissuta", la storia d'amore che si svolge tra i due, la passione che prende Johanna giovane donna ribelle e insofferente ai dogmi religiosi, per l'intelligenza rivoluzionaria del pensiero di Feuerbach.
Al fallimento dei moti di Francoforte seguirà l'abbandono di Johanna che per la delusione impazzirà, scegliendo la solitudine.
La riflessione prosegue poi con i versi de l' "Eneide" di Virgilio per raccontare la drammatica scelta di morte che Didone, tradita nel suo amore e poi abbandonata dall'eroe predestinato dagli Dei ad essere il fondatore di Roma, decide di compiere.
Tra storia e cultura dunque, la protagonista si chiede e ci chiede quanto la nostra società, dominata da migliaia di anni dalla religione e dalla razionalità, non sia riuscita ancora ad accettare e a permettere la libera realizzazione dell'identità della donna: ammonendola sempre che un destino di follia e di morte attende chi si ribella alla "Legge Morale del Padre".
Una donna che rifiuta i dogmi e vive la passione d'amore può riuscire a resistere ai fallimenti dell'eroe? Alle delusioni?
Una risposta arriva alla protagonista attraverso il rapporto con l'arte e con quanto di verità gli artisti ci hanno suggerito della realtà umana; poi, il suono fisicamente presente di uno strumento musicale la raggiunge nel sonno...
aiuto regia Francesco Sollecito
sax e scelte musicali Pier Paolo Iacopini
luci e proiezioni Giancarlo Mici
effetti audio Giancarlo Mici
video e foto Stefano Giorgi
Durata dello spettacolo: un'ora e un quarto
Al termine dei matinée l'Autore e gli interpreti incontrano gli studenti per approfondire attraverso la discussione, i temi proposti.
Prezzo del biglietto matinée € 5,00 per insegnanti e studenti
serale € 15,00 - € 12,00 per i soci
Teatro Antigone
Roma - Via Amerigo Vespucci, 42 (zona di Testaccio) Roma
Teatro del Borgo
Firenze - Via San Bartolo in Cintoia, 95
Info e Prenotazioni
Cell. 320.2177964
annachiaramantovani@libero.it
Johanna & Ludwig di Fulvio Iannaco
LUNEDI' 02 MARZO e MARTEDI' 31 ore 11,00
TEATRO ANTIGONE (Roma)
SABATO 14 MARZO MATINEE ore 10,30 - serale ore 21,00
APERITICENA ore 19.30 OFFERTO DALLA CASA DEL POPOLO DI SAN BARTOLO A CINTOIA TEATRO DEL BORGO (Firenze)
regia di Rossella Napolano con Annachiara Mantovani e Pier Paolo Iacopini
voci off Pietro Longhi e Pierre Bresolin
Video ufficiale https://www.youtube.com/watch?v=L7rEsFeXdrs&feature=youtu.be
SCHEDA DELLO SPETTACOLO
In una scena semplicissima (una poltrona, molti libri ed un leggio), una donna di oggi si interroga sulla identità femminile.
La riflessione si svolge in due momenti: dapprima raccontandoci della vicenda umana e sentimentale (e del suo fallimento), tra la giovanissima Johanna Kapp allora diciassettenne, siamo negli anni dei moti europei del 1848, e il filosofo Ludwig Andreas Feuerbach, l' autore de:" L'Essenza del Cristianesimo".
Anche attraverso la lettura di alcuni estratti del testo, in cui per la prima volta viene proposta l'idea della religione come creazione inconsapevole della mente dell'uomo stesso, viene raccontata e quasi "vissuta", la storia d'amore che si svolge tra i due, la passione che prende Johanna giovane donna ribelle e insofferente ai dogmi religiosi, per l'intelligenza rivoluzionaria del pensiero di Feuerbach.
Al fallimento dei moti di Francoforte seguirà l'abbandono di Johanna che per la delusione impazzirà, scegliendo la solitudine.
La riflessione prosegue poi con i versi de l' "Eneide" di Virgilio per raccontare la drammatica scelta di morte che Didone, tradita nel suo amore e poi abbandonata dall'eroe predestinato dagli Dei ad essere il fondatore di Roma, decide di compiere.
Tra storia e cultura dunque, la protagonista si chiede e ci chiede quanto la nostra società, dominata da migliaia di anni dalla religione e dalla razionalità, non sia riuscita ancora ad accettare e a permettere la libera realizzazione dell'identità della donna: ammonendola sempre che un destino di follia e di morte attende chi si ribella alla "Legge Morale del Padre".
Una donna che rifiuta i dogmi e vive la passione d'amore può riuscire a resistere ai fallimenti dell'eroe? Alle delusioni?
Una risposta arriva alla protagonista attraverso il rapporto con l'arte e con quanto di verità gli artisti ci hanno suggerito della realtà umana; poi, il suono fisicamente presente di uno strumento musicale la raggiunge nel sonno...
aiuto regia Francesco Sollecito
sax e scelte musicali Pier Paolo Iacopini
luci e proiezioni Giancarlo Mici
effetti audio Giancarlo Mici
video e foto Stefano Giorgi
Durata dello spettacolo: un'ora e un quarto
Al termine dei matinée l'Autore e gli interpreti incontrano gli studenti per approfondire attraverso la discussione, i temi proposti.
Prezzo del biglietto matinée € 5,00 per insegnanti e studenti
serale € 15,00 - € 12,00 per i soci
Teatro Antigone
Roma - Via Amerigo Vespucci, 42 (zona di Testaccio) Roma
Teatro del Borgo
Firenze - Via San Bartolo in Cintoia, 95
Info e Prenotazioni
Cell. 320.2177964
annachiaramantovani@libero.it
Iscriviti a:
Post (Atom)