sabato 7 novembre 2015

Balthus a Roma

Scritto da  Ilaria Guidantoni Giovedì, 05 Novembre 2015

Scuderie del Quirinale La retrospettiva/ Villa Medici, Roma L’atelier
24 ottobre 2015 - 31 gennaio 2016

Kunstforum Wien, Vienna
febbraio 2016 - giugno 2016

A cura di Cécile Debray, curatrice del Musée National d'Art Moderne/Centre Pompidou

Doppio appuntamento romano per uno degli artisti più originali del Novecento, sospeso nel suo dissenso verso il surrealismo – che pure ha lambito – e l’accademismo, tra il rigore della classicità e l’ispirazione rinascimentale di Piero della Francesca nonché il lato onirico della vita. Quest’ultimo vive della dialettica tra tenerezza e ambivalenza erotica da una parte, e il lato mostruoso, crudele, dall’altra. L’immersione è in un’atmosfera rarefatta che affonda nella malinconia per l’infanzia come categoria dell’anima. C’è nelle sue opere una grande perfezione stilistica e un’armonia che scricchiola, proprio per questo intrigante.
Con una grande mostra monografica divisa in due sedi, Roma celebra – a quindici anni dalla morte – Balthasar Klossowski de Rola, in arte Balthus (1908-2001), maestro tra i più originali ed enigmatici del Novecento, il cui rapporto con la città eterna fu decisivo per gli indirizzi della sua arte. Alle Scuderie del Quirinale sono esposte circa duecento opere, tra quadri, disegni e fotografie, provenienti dai più importanti musei europei ed americani oltre che da prestigiose collezioni private, compongono un avvincente percorso in due segmenti. Qui si può vedere una completa retrospettiva organizzata intorno ai capolavori più noti, mentre a Villa Medici un’esposizione che, attraverso le opere realizzate durante il soggiorno romano, mette in luce il metodo e il processo creativo di Balthus: la pratica di lavoro nell’atelier, l’uso dei modelli, le tecniche, il ricorso alla fotografia.

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Disillusione ottica - Mostra di Marcia Xavier

Scritto da  Ilaria Guidantoni Giovedì, 05 Novembre 2015

a cura di Elisa Byington
Con installazioni di vetro e acqua che giocano con la disillusione ottica
per dissolvere le certezze della ragione

Presentata dall’Ambasciata del Brasile a Roma
Palazzo Pamphili - Roma
30 ottobre - 27 novembre 2015

Illusioni dello sguardo, sovvertimento della grammatica della visione e opere da toccare: suggestioni sacre e profane di Roma per un’artista che si nutre dei luoghi nei quali passeggia per uno scambio interattivo.

Marcia Xavier, artista brasiliana, si inserisce in un percorso che l’Ambasciata del Brasile sta compiendo con una serie di appuntamenti dedicati ad artisti brasiliani contemporanei. Marcia è affascinata dall’illusione dello sguardo, defigura e refigura a livello ottico con una nota giocosa, ammiccante, mai irriverente perché sembra uscire spontaneamente e naturalmente. La sua arte è uno studio scientifico attento che non cala dall'alto come una tesi il “capriccio” ma lo lascia uscire, come accade a Santa Teresa, alla sua Santa Teresa.

L’artista fotografa per trasformare le immagini in altra cosa, per creare un mondo proprio che non vuole riflettere quello esistente e invita l’osservatore a far parte dell’opera, che necessita della sua azione per essere rivelata: gli oggetti chiedono di essere toccati sia per il loro movimento nello spazio che per coglierne la varietà degli effetti luminosi.

L’abbiamo incontrata prima dell’apertura dell mostra al pubblico per chiederle com’è nata quest’esposizione.
«Nel 2013 ho vissuto a Roma per due mesi in occasione di una residenza artistica e sono stata invitata a esporre all’ambasciata brasiliana. La mostra sarebbe dovuta essere alla Galleria Pietro da Cortona e poi è stata scelta la Galleria Portinari, lasciando invariato il progetto iniziale.»
Quale? «L’idea è nata da due fonti di ispirazione, la Santa Teresa della Chiesa di Piazza Navona, Santa Teresa in Agone e due scene opposte prese dalla Galleria Cortona.»

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James Tissot al Chiostro del Bramante

Un cultore dell’eleganza e della raffinatezza, un ritrattista del bel mondo e della moda, un documentarista dell’evoluzione del costume tra Parigi e Londra. Osteggiato, forse invidiato, dagli altri pittori, ebbe sempre un grande successo della critica e del pubblico. Nativo di Nantes, studia e vive a Parigi finché, dopo la fine della Comune, si trasferisce a Londra. Impressionista sui generis, nella sua pittura è pressoché assente l’effetto plein air, il respiro della pittura di quel periodo. Grande disegnatore, quasi miniaturista, oggi forse demodé nel gusto del particolare, nel vezzeggiare con il suo tratto la frivolezza e la grande eleganza, resta un prezioso documento dei costumi del tempo e un piacere per l’occhio che voglia trastullarsi in una passeggiata leggera.
 I suoi sfondi sono ambientazioni cittadine, per lo più interni e visioni che ricordano la costa atlantica, il mare del nord, gli aspetti più brumosi della Francia. Impossibile non seguire l’evoluzione del cappello, l’invenzione inglese della tuba, il vezzo delle signore di addobbarli con nastri piume e fiori; le acconciature che ad un certo punto non lasciarono più ciocche libere ma fermarono e raccolsero i capelli nei cappelli, nascondendo le forcine, con un effetto molto composto. Nei suoi dipinti traspare l’amore e l’attenzione alle stoffe e alle loro caratteristiche e la trasformazione dei vestiti: il primo tailleur per donna inventato in Inghilterra con gonna, giacca e camicia il cui nome indica quello del sarto appunto, perché mutuato dal guardaroba maschile. C’è posto anche per il cul de Paris, quel modo di sollevare il vestito posteriormente con una sorta di tournure, che impediva alle dame di sedersi ma le rendeva ammiccanti e oggi, diremmo, un tantino ridicole. C’è naturalmente anche la serie dei ritratti e della compagna che amò e il ritratto di un incontro di artisti con le loro donne che è anche un’istantanea del momento. Forse la sala più suggestiva è il ciclo del Figliol Prodigo con un’interpretazione rivisitata, contemporanea e autobiografica. Così si sentì infatti James (nome inglesizzato per ragioni di immagine) che si avvicinò gradualmente al sentimento religioso. 
La mostra è certamente un’occasione per preziosa per immergersi in un’atmosfera d’antan, leggerne le tinte, e scoprire un talento non così noto. 





martedì 3 novembre 2015

Lampedusa Beach - Piccolo Teatro Grassi (Milano)

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 31 Ottobre 2015

Arriva al Piccolo Teatro di Milano, dal 27 ottobre al 4 novembre, Lampedusa Beach, il primo dei tre testi che compongono la Trilogia del naufragio di Lina Prosa. Scritto nel 2003, è stato prodotto e messo in scena nel 2013 dalla Comédie-Française. Il teatro parigino ha recentemente prodotto l’intera Trilogia per la regia della stessa autrice. Un angolo diverso con un tono surreale per un monologo di grande attualità che racconta il naufragio di una clandestina: il tono onirico alternato con passaggi spietatamente realistici. Un testo nudo e un’interpretazione lucida, essenziale. Molto suggestivo l’effetto “scatola” della scena ora ariosa, ora claustrofobica.

Produzione Teatro Biondo Stabile di Palermo presenta
LAMPEDUSA BEACH. TRILOGIA DEL NAUFRAGIO
testo e regia Lina Prosa
con Elisa Lucarelli
scene, luci e immagini Paolo Calafiore
costumi Mela Dell’Erba

Lampedusa Beach non è solo un testo sull’emigrazione clandestina, è la testimonianza, poetica e tragica, di una giovane africana che naufraga al largo di Lampedusa; un monologo a più voci che rievoca l’interminabile istante in cui Shauba, mentre annega, racconta la sua esperienza: il sogno di una vita migliore, l’indifferenza del mondo, ma anche il suo rapporto primordiale con l’acqua e quindi con la sua identità mediterranea.

E’ la prospettiva del dramma dell’immigrazione analizzato più che dal punto di vista della violenza, da quello dell’indifferenza. Un immigrato clandestino è destinato a nascondersi e quindi sembra legittimare l’altro ad ignorarlo, a dimenticarlo.

Inoltre il testo è tutto al femminile dalla parte dell’Africa: il monologo e il dialogo immaginario della protagonista con la mamma e con una “consigliera”, mentre gli uomini sono sempre “gli altri”, non come alter ma come alius.

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“Giotto L’Italia” - Milano, Palazzo Reale

Scritto da  Ilaria Guidantoni Lunedì, 26 Ottobre 2015

Una mostra monografica selezionata – 14 capolavori – di grande raffinatezza: Milano privilegia questa volta la qualità, un allestimento classico che valorizza le opere, con un percorso didascalico fruibile e di alto profilo. Un’occasione per focalizzare lo sguardo su una colonna della pittura italiana con una prospettiva originale: i luoghi di lavoro di Giotto che suggerisce un modo nuovo di viaggiare nel Belpaese.

Dal 2 settembre 2015 al 10 gennaio 2016 a Palazzo Reale di Milano una sequenza di capolavori assoluti per la prima volta in un'unica mostra: 14 opere dalla qualità sublime, Giotto, l’Italia che conclude il semestre Expo 2015. Al progetto – sotto l’Alto patronato del Presidente della Repubblica Italiana, promossa dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo e dal Comune di Milano – Cultura, con il patrocinio della Regione Lombardia, prodotta e organizzata da Palazzo Reale e dalla casa editrice Electa, hanno collaborato Soprintendenze, Musei italiani ed esteri e istituzioni religiose che conservano opere di Giotto.
La mostra, con allestimento di Mario Bellini, classico, elegante, volto a valorizzare l’opera giottesca e non a celebrare l’esposizione stessa, ha un motivo particolare per essere realizzata a Palazzo Reale: esso infatti ancora ingloba strutture del palazzo di Azzone Visconti, ove, negli ultimi anni della sua vita, Giotto venne a realizzare due cicli di dipinti murali, oggi perduti.
Godibile il percorso concepito per visualizzare il tragitto compiuto dall'artista fiorentino attraverso l'Italia del suo tempo in circa quaranta anni di attività. Le 14 opere, nessuna delle quali è mai stata esposta a Milano, si trovano su grandi altari in ferro immersi nella penombra: un contesto “povero”, volto a esaltare la bellezza delle tavole policrome del maestro, con un tono grigio scuro, il colore ideale per valorizzare l’arte sotto il profilo funzionale.

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"Disillusione ottica". Mostra di Marcia Xavier

Scritto da  Redazione Cultura Domenica, 25 Ottobre 2015

L’Ambasciata del Brasile a Roma
Presenta

DISILLUSIONE OTTICA
Mostra di Marcia Xavier
a cura di Elisa Byington

Con installazioni di vetro e acqua che giocano con la disillusione ottica
per dissolvere le certezze della ragione

Palazzo Pamphili - Roma
30 ottobre - 27 novembre 2015

Marcia Xavier fotografa per trasformare le immagini in altra cosa, per creare un mondo proprio che non vuole riflettere quello esistente e invita l’osservatore a far parte dell’opera, che necessita della sua azione per essere rivelata: gli oggetti chiedono di essere toccati sia per il loro movimento nello spazio che per coglierne la varietà degli effetti luminosi.
Disillusione Ottica è la sua mostra ospitata presso la Galleria Candido Portinari di Palazzo Pamphili dal 30 ottobre al 27 novembre. Il titolo svela l’interesse dell’artista per le superfici acquose, specchiate e vitree, utilizzate per creare artifici ottici con cui esplorare la transitorietà delle immagini. Le variazioni infinite offerte da questi materiali sembrano dissolvere le certezze della ragione.

L’artista ha uno sguardo caleidoscopico sul mondo, dove tutto è illusorio, incerto, mutevole, e invita lo spettatore a sperimentare un tempo dilatato. All’accelerazione del mondo reale, che rigurgita immagini irriflesse, l’artista propone la lentezza contemplativa, la fruizione delicata, giocosa, soggettiva, intrasferibile.

Subito all’entrata, uno spioncino posto sulla finestra offre all’osservatore una finzione spazio-temporale: l’occhio si trova all’interno del Pantheon, sotto la sua calotta, e vede un braccio e una mano gigante. E’ quella dell’artista, metafora della sua presenza che cerca di raggiungere l’oculus centrale come se andasse a toccare il cielo.

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“Incendi” di Wajdi Mouawad, un'odissea moderna intessuta coi fili del sangue e delle parole, al Piccolo Teatro Grassi di Milano

Scritto da  Ilaria Guidantoni Sabato, 24 Ottobre 2015

“Incendi” di Wajdi Mouawad è in scena al Piccolo Teatro Grassi di Milano dal 20 al 25 ottobre, una produzione Sardegna Teatro. Il regista Guido De Monticelli e la compagnia hanno incontrato il pubblico giovedì 22 ottobre presso il Chiostro Nina Vinchi. Un appuntamento che ha ruotato intorno all’intellettuale libanese autore della pièce, fuggito con la famiglia a Parigi - dove si è formato culturalmente - e oggi residente in Quebec; la curiosità scaturisce proprio dalla sua figura di libanese migrante. Un’occasione per riflettere sulla storia contemporanea di lacerazione che diventa metafora della tragedia come dissidio storico insanabile, rappresentazione dell’uomo e della sua dialettica talora violenta in seno ai rapporti, siano essi familiari o sociali.

INCENDI
di Wajdi Mouawad
traduzione Caterina Gozzi
regia Guido De Monticelli
scene Fausto Dappiè
musiche Alessandro Olla
video Francesco Deiana
costumi Stefania Grilli
disegno luci Loïc François Hamelin
assistente alla regia Rosalba Ziccheddu
con Maria Grazia Bodio, Lia Careddu, Agnese Fois, Corrado Giannetti, Paolo Meloni, Marta Proietti Orzella, Cesare Saliu, Giorgia Senesi, Marco Spiga, Maria Grazia Sughi, Leonardo Tomasi, Luigi Tontoranelli
produzione Sardegna Teatro
sovratitolato in inglese a cura di Prescott Studio e Montclair State University, NJ, USA
nell’ambito del progetto “Tradurre voci attraverso i continenti”

"Incendi" di Wajdi Mouawad fa rivivere gli sconvolgenti orrori della guerra in Medioriente e, insieme, commuove profondamente comunicando un fortissimo senso della vita, perfino della leggerezza e dell’incanto. Ha qualcosa dell’epopea, a un tempo antichissima e modernissima, quest’opera, intessuta coi fili del sangue e delle parole che combattono e risanano: un’odissea, che Mouawad affida a due fratelli gemelli. Il loro sarà un lungo viaggio verso il mistero della loro origine.

Seconda tappa di una tetralogia intitolata Il sangue delle promesse, Incendi - da cui è stato tratto il film La donna che canta di Denis Villeneuve, violento, sottilmente violento e di grande bellezza oltre che maestria - racconta la storia di Jeanne e Simon, due giovani d’oggi che vivono a Montréal. All’apertura del testamento della madre scoprono che la donna ha lasciato loro due lettere da consegnare, una per il padre che non hanno mai conosciuto e ritenevano morto, l’altra per il fratello di cui ignoravano l’esistenza. La vicenda assume il carattere dell’inchiesta, l’inseguimento di un enigma da sciogliere, che porterà i due ragazzi a ripercorrere i sentieri di quel paese lontano, paese di guerre fratricide, sulle orme della madre e di se stessi, scoprendo una storia di torture e di violenza dal finale sconvolgente.

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