venerdì 22 maggio 2015

Paranza. Il miracolo - Teatro Elfo Puccini (Milano)

Ilaria Guidantoni, 18 Maggio 2015

Il precariato come dramma lirico in una versione liturgica che mescola il teatro popolare da strada e le processioni, religiosità popolare e contemporaneità nella quale il senza lavoro resta un povero dalla vita misera. Un'opera collettiva che sembra nascere da un canovaccio prima che da un testo incardinato, dove gli attori reggono il lavoro da una prospettiva inconsueta. Molto preparati dal punto di vista tecnico, lo spettacolo si impone per originalità confermando una contemporaneità legata all’essenzialità della scena, a certa scarnificazione pur mantenendo la ripetitività tipica delle nenie e delle litanie. Qualche asciugatura possibile. Certamente un lavoro da vedere, coraggioso, che non rischia la genericità per il richiamo ai fatti di cronaca.

PARANZA. IL MIRACOLO
un progetto di Clara Gebbia, Katia Ippaso, Enrico Roccaforte, Antonella Talamonti
dramaturg e autore delle liriche Katia Ippaso
regia Clara Gebbia ed Enrico Roccaforte

Paranza - il miracolo è una parabola in cui si narra di un pellegrinaggio laico, una sorta di processione di quattro disgraziati, straccioni, con un’ex vita più che dignitosa e, in alcuni casi, perfino di successo. Paranza è la barca notturna da pesca che esce di notte ma anche una sorta di baldacchino, di macchina scenica che portano in spalla come fosse un’attività professionale, l’unica ormai disponibile per quattro emarginati. Persone che il mondo ha espulso e che si ritrovano sole, con la vergogna di doversi scoprire come chi racconta di una casa rossa con ben cinque porte, cinque finestre di cui due grandi, specchi e specchietti e perfino un tappetino e delle piante. Peccato che sia la descrizione di una macchina, l’unica proprietà di un’esistenza sfilacciata e ridotta a brandelli.

E’ un viaggio che nasce raccogliendo le prime quattro persone disponibili, che va verso il nulla e la cui unica meta è imparare a pregare nel senso più umano del termine, a chiedere scusa (perdono) dei propri sbagli e a chiedere, a chiedere il pane quotidiano, a fermare qualcuno per chiedere l' elemosina. In poche parole, imparare l’umiltà. E’ così che colei che, non riuscendo a fare la cantante presta la propria voce, vende la propria voce, dai rumori di scena e fuori scena alle prestazioni liriche, sale in cime alla “macchina” e assume il ruolo della Vergine.

La recensione integrale su Saltinaria.it

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