“Angeli” di Filippo Gili, un approfondimento sul testo
Scritto da Ilaria Guidantoni Domenica, 24 Luglio 2016
Dalla parte della parola, arguzia, moti surreali, un’ironia per certi versi strampalata, testo che si affida questa volta a gesti, sguardi, smorfie, a bisbiglii che ne cambiano il senso. Un Gili singolarmente umoristico che però nella trama conserva tutto il gusto dello scavo, nell’assurdità della vita di cui nemmeno gli angeli conosco il senso.
Angeli, il progetto di Uffici Teatrali scritto e diretto da Filippo Gili, esce quasi in contemporanea a a L’ora accanto (inserito nella rassegna Dominio Pubblico 2016), ultimo capitolo della Trilogia di mezzanotte diretta da Francesco Frangipane, in programma al Teatro dell’Orologio. Questo testo che sembra cucito come un vestito su misura per i due attori, Pier Giorgio Bellocchio e Arcangelo Iannace, ci rivela il Gili della commedia difficile da immaginare per chi lo conosce “tragico”. Eppure se si percorre fino in fondo il suo laboratorio del tragico, nella scomposizione dello stesso che si rovescia spesso nel grottesco, che ha al fondo il gusto ironico della quotidianità, talora per fino quello del sorriso, nonché la demolizione dell’enfasi, forse si può intravederne la vena comica. La sua commedia, pur in momenti di grande ilarità, un testo che è tutto sceneggiatura, versi, smorfie, suoni, bisbiglii, non è mai semplicemente commedia nel senso più comune del termine, meno che mai incline alla risata, sebbene la storia sia assolutamente domestica, per quanto con interventi celestiali. E’ proprio la vicenda dell’uomo della porta accanto, un personaggio comune, l’uomo medio spaventato, incantato, arrabbiato con la vita.
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